venerdì 2 settembre 2011

Il transfert attivo nella didattica del latino: tra Tesnière-Haap e il metodo eclettico






Il metodo tradizionale
Nec scire fas est omnia
Orazio, Odi, IV, 4, 22

Nel passato il latino veniva insegnato soprattutto secondo il classico procedimento grammaticale-nozionistico[1], che si basava perlopiù sulla memorizzazione della grammatica, intesa nel senso completo di morfologia e sintassi. È così che i contenuti sono stati tramandati anche a noi che faticosamente oggi proviamo ad uscire dall’impasse come una crisalide dal bozzolo.
Certo il lavoro del docente era più semplice: ci si aspettava che lo studente memorizzasse senza sosta e chi non lo faceva risultava agli occhi della classe e del docente come una sorta di appestato su cui non meritava neanche di spendere due parole di incoraggiamento, altro che corsi di recupero obbligatori!
Ma i nostri ragazzi oggi sono del tutto disabituati ad utilizzare l’organo della memoria, complice anche un sistema che forse per quanto riguarda la scuola primaria non è così ineccepibile come sbandierato. Non scordiamo che nell’antico ordinamento scolastico la morfologia latina si affrontava alle medie, con tre anni a disposizione solo per imparare le declinazioni e le forme verbali. Ai giorni nostri invece gli alunni approcciano la materia all’età di 14-16 anni in cui, come recenti studi hanno dimostrato si verifica un indebolimento delle facoltà mnemoniche e non il contrario, devono imparare in fretta, spesso assillati a loro volta da un insegnante ansioso di arrivare alla fine del programma, come un maratoneta di avvistare lo striscione dell’ultimo chilometro. Si chiede loro di fare uno sforzo proprio nel momento meno indicato: quello dell’adolescenza e di cambiamenti fisici importanti, a volte molto traumatici per l’individuo. Non si può pretendere che studino e basta ed è altresì evidente che non è più possibile lasciarli soli con il problema, come è stato fatto con noi. Bisogna aiutare con tutto i ragazzi a capire l’importanza dello studio individuale e certamente un procedimento didattico molto pedante, suddiviso in blocchi rigidi non aiuta.
Lo studente non deve sentirsi un novello Sisifo che inutilmente cerca di far arrivare massi sul cucuzzolo di una montagna, ma parte integrante di un processo creativo: se non ci fosse lui vivo e vegeto e capace di ragionare e influire sugli eventi futuri, lo studio del passato non avrebbe senso. Non si tratta di uno sterile esercizio da topi di biblioteca, ma del perseguire una meta precisa, conseguire un risultato soddisfacente è un’esigenza prima dell’alunno e poi, di riflesso, del docente e non il contrario.

Il metodo strutturale

Nulla che sia del tutto nuovo è perfetto
Cicerone, Brutus

Già diversi anni fa è stato presentato nel panorama didattico-pedagogico il modello Tesnière-Haap, si tratta di un metodo strutturale, che cioè si basa sull’acquisizione di competenze-base, tramite le quali l’alunno ricostruisce un quadro unitario di un argomento o di una lingua. Su queste basi ha preso vita in seguito il cosiddetto “metodo globale”, un procedimento soprattutto induttivo che è attualmente usato per l’insegnamento delle lingue moderne. Il fulcro della questione è qui completamente invertito rispetto ai metodi tradizionali che procedevano per deduzione e quindi secondo lo schema: regola generale-applicazione-sottoregole-applicazione-eccezioni-applicazione.
È inutile sottolineare che molte sono state le perplessità espresse dagli esperti sulla cosiddetta “didattica breve” che si avvale di un metodo per alcuni inadatto allo studio di una lingua conclusa come appunto il latino, che mai verrà “parlata” dagli studenti.
Tra le critiche mosse a questo modello didattico, due a mio parere meritano particolare interesse da parte di un docente di latino e cioè:
  • Non si può fare a meno della regola grammaticale in una lingua che appunto è conclusa o come generalmente o come generalmente si dice, utilizzando un’espressione che personalmente detesto è “morta”
  • Il latino che noi traduciamo o proponiamo agli studenti non è quello parlato, sul quale peraltro non sappiamo quasi nulla, ma una variante personale dell’autore in questione, una precisa testimonianza all’interno di un sistema linguistico, che prima di tutto esprimeva i valori morali, politici e civili di una civiltà, tesa a lasciare di sé un’idea precisa e fortemente idealizzata ai posteri.
Lo studio della morfologia quindi non è un “di più” da cui si può prescindere, ma acquisisce di per sé un valore pedagogico da non sottovalutare. Il problema non è quindi “grammatica sì – grammatica no”, ma far capire agli studenti l’utilità dello studio mnemonico, senza peraltro caricarlo di un valore assoluto o addirittura “ontologico”, come facevano i nostri predecessori in un tempo non troppo lontano.
Comunque sia un moderno docente deve aver sempre ben presente, secondo me, anche i vantaggi che l’introduzione nella didattica di tale metodo comporta e soprattutto:
1)      si tratta di un procedimento diretto che, se vogliamo,”toglie la polvere dalla storia” è capace di mettere in contatto direttamente lo studente con la materia.
2)      tale  contatto, se ben sfruttato, genera nel discente un “transfert attivo”[2], che lo mette da subito nella condizione di considerarsi protagonista dell’iter didattico.
Ma vediamo più da vicino quali sono le novità positive che questo modello di apprendimento comporta.
La didattica breve, accusata dai critici “tout court” di semplicismo, si basa sugli elementi costitutivi di uno studio o di una disciplina e su questi adatta un procedimento formativo.
In questo metodo formale-comparativo, nell’esercizio di traduzione, l’attenzione si concentra sul verbo, chiamato “valenza”, come se ci trovassimo davanti ad una reazione chimica. Esso, appunto lega a sé, mediante le regole morfologiche sintattiche gli “attanti”, cioè gli elementi direttamente coinvolti dal transitare dell’azione (soggetto, complemento oggetto, complemento d’agente e di causa efficiente) e i “circostanti” cioè tutti i complementi che possono comparire nel periodo. Secondo i legami che instaura con gli altri elementi sintattici il verbo è definito a-valente quando è impersonale, monovalente quando è intransitivo, bivalente, quando può essere usato sia transitivamente che intransitivamente.
Tutto l’apparato morfosintattico di una lingua, quindi anche del latino, viene fatto ruotare intorno a questo schema, che poi non è così semplice o semplicistico come sembra.

Il metodo selettivo

Homines dum docent discunt
Seneca, Lettere a Lucilio

Come dice Marino Faggella in un suo interessante studio sulla didattica del latino, il metodo migliore che l’insegnante moderno può utilizzare per avvicinare gli studenti all’amore e quindi allo studio del latino è quello eclettico, che tenga conto di tutta l’esperienza fatta dai docenti in materia, se possibile dall’era della Riforma Gentile fino ai nostri giorni.
È quindi indispensabile, fin dalle prime battute, far sentire lo studente “protagonista attivo” del progetto educativo che lo riguarda e lo coinvolge. Come? Innanzitutto procurandosi che si impadronisca del lessico, che utilizzi tutti i mezzi a sua disposizione, non solo la nuda memoria, ma anche liste, rubriche, schede, per acquisire una competenza linguistica sempre più ampia. Questo è solo il primo passo per procedere oltre: solo se lo studente è in grado di riconoscere le parole all’interno di un testo si potrà sin dai primi mesi della prima liceo affrontare la lettura di testi significativi, magari con traduzione a fronte. Se questo approccio riesce, avremo evitato il rischio che lo studio grammaticale sembri fine a se stesso, anzi saranno gli stessi studenti a porre domande a sollecitare l’insegnante a proseguire nello studio della morfologia per ricevere una risposta alle curiosità e ai dubbi suscitati dalla proposta di un passo di cui si può interpretare, con le proprie forze, solo un venti per cento.
È fondamentale nella prima fase di studio dare molta importanza ad una corretta lettura[3]. Spesso noi insegnanti tralasciamo questo aspetto, presi dalle esigenze del programma e dalla fondata preoccupazione che per i nostri alunni sia più importante imparare la declinazione e la flessione del verbo, piuttosto che le regole della pronuncia. È umano che questo avvenga, ma è anche controproducente. Uno studente che si accorgerà che l’insegnante non dà peso alla lettura recepirà un messaggio sbagliato: che la lingua latina non ha dignità, rispetto alle lingue moderne, che leggere bene sottragga solo del tempo alla ricerca dei termini sul dizionario e al riconoscimento delle strutture sintattiche. Alcuni pensano che una corretta lettura e pronuncia del latino debbano in definitiva essere demandate al docente del triennio, in previsione di una scansione metrica, ma secondo me non c’è niente di più sbagliato.
[…]
Personalmente  amo gli spazi aperti e una divisione rigida mi mette non poca ansia. Confesso apertamente che spesso e volentieri ho fatto nel corso del corrente anno scolastico delle “incursioni” nei programmi futuri e non sono per niente pentita perché è proprio da quelle esperienze che ho tratto le migliori soddisfazioni.
Il punto di partenza dell’azione didattica, la finalità concreta dello studio del latino è quella di mettere lo studente in grado di tradurre, deve esserci quindi l’analisi del verbo, vera “cellula” dell’attività di traduzione, più importante di qualsiasi altro concetto. Per esempio, non c’è bisogno di appesantire con una pretesa eccessiva di memorizzazione da parte dello studente lo studio della sintassi, di cui alcune regole sono puramente intuitive e diventano ovvie, una volta introdotto opportunamente il discente nel sistema linguistico latino. […]

Conclusioni

E io rimango in forse, / che no e sì nel capo mi tenciona
Dante, Inferno VIII, 110-111

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Dal mio punto di vista devo ammettere che ho perseguito unicamente due scopi durante l’attività di questo anno scolastico: 1) convincere gli studenti che senza una partecipazione attiva da parte loro non si imapra alcuna disciplina; 2) sviluppare in loro un forte senso critico, una capacità di giudizio necessario.
Molti sono i colleghi che non la pensano come me. È opinione diffusa che nelle prime due classi del liceo tutti gli sforzi dell’insegnante debbano essere tesi alla trasmissione di un metodo solido di studio, che consenta allo studente di affrontare il triennio, quando si aggiungeranno i contenuti.
Francamente la trovo una visione un po’ restrittiva, in un certo senso è come se si dicesse che il collega del biennio è un ottimo gregario che tira la volata ai numeri uno e mi scuso all’istante della metafora sportiva.
[…]
Spesso in questo anno scolastico ho inserito nelle verifiche domande che non avevano risposta negli appunti o sul libro di testo, ma a cui si poteva far fronte con il ragionamento o intuitivamente. Le prime volte solo alcuni si sono cimentati nella risposta, molti hanno scritto qualcosa che era stata detta a lezione e che speravano fosse inerente all’argomento, altri hanno “saltato” il quesito incriminato. Alla fine dell’anno però le percentuali si sono invertite e molti sono quelli che “osano” di testa loro. Buon segno. Non ha importanza, per ora, che “ci indovinino” o no, come diceva Bertold Brecht “l’intelligenza non è non commettere errori, ma scoprire subito il modo di trarne profitto”[4].

Silvia Alessi, Riflessioni sulla didattica del latino nei licei, in Schol(i)a - Rivista destinata ai docenti di letteratura Latina e Greca , N° 3 – Anno 11 – 2009, Roma, Pagine Edizioni, pp. 73-90.


[1] M. Faggella, Latina didaxis: aggiornamenti sulla didattica del latino nella scuola liceale, percorso modulare tenuto nell’Università della Basilicata.
[2] M. Faggella, in op. cit., Il transfert, pp. 18-19.
[3] M. Faggella, in op. cit., Lo studente protagonista attivo, pp. 24-25.
[4] Bertold Brecht, La linea di condotta (1930), a cura di Emilio Castellani, Einaudi 1974.

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