(Foto: Il poeta e scrittore Dario Bellezza - Archivio storico Istituto Luce)
Era un tardo pomeriggio di fine gennaio del 1986.
Dario Bellezza veniva da Pompei dove era andato a ritirare un premio letterario,
forse a tenere una conferenza o una lettura di poesie, e sarebbe da Napoli
Centrale presto ripartito per Roma, fermandosi giusto il tempo di conoscerci di
persona dopo tante telefonate, trattenerci a un bar; io arrivai da Caserta in
poco tempo per raggiungerlo. Che il primo, reale incontro sia avvenuto in quel
periodo lo deduco da una poesia pubblicata in un mio libro di quell’anno,
quando avevo compiuto venticinque anni. Lo affermo all’inizio di queste note,
dove sento l’eco dei Ricordi di Friedrich Nietzsche scritti da Paul
Deussen. Quello era il mio esordio letterario, piuttosto in sordina se vogliamo
anche se alla compianta Cristina Annino capitò di pubblicare con lo stesso
editore e io ero contentissimo perché mi aveva letto il miglior poeta della sua
generazione, come lo definì Pier Paolo Pasolini. L’ultimo verso di quella
poesia è il seguente: Solo ciò che conforta è la bellezza. È datata
22-28 gennaio 1986. Ma dopo tanti anni è difficile non confondersi sulle date e
le circostanze e gli sviluppi ulteriori della nostra amicizia e mi pare proprio
che quel mio testo poetico mi sia rivelatore non solo cronologicamente. Risulta
che lo scrissi, o perlomeno aggiunsi quelle parole tra il 22 e il 28 gennaio
dopo aver visto Dario alla Stazione Centrale di Napoli per la prima volta, ma
non so dire con esattezza in quale giorno. Né penso che la bellezza mi
confortasse particolarmente in quel periodo, avevo trascorso brutti mesi come
si era accorta la Morante, qualcosa di cupo mi attraversava. Portavo una
montatura nera di occhiali molto spessa, mi nascondeva metà del volto, per un
vezzo giovanile quasi mi camuffavo da brutto. L’allusione alla bellezza
era un gioco di parole che si riferiva proprio al cognome del poeta.
Lui era ancora più grande di quanto io stesso fossi
allora in grado di comprendere, anche se per vari aspetti ne intuivo
l’ulteriorità a sua volta e a suo modo nietzschiana. Ora tuttavia mi viene un
dubbio: poteva essere il 1985? Gennaio 1985? Che fosse inverno inoltrato sono
sicuro, Elsa Morante era ancora viva tant’è vero che ne parlammo e in quella
circostanza napoletana lui aveva nominato Virginia Woolf, che nel suo romanzo
Turbamento è il senhal di Elsa (la poesia la scrissi l’anno dopo). Perciò,
tralasciando quella poesia, propendo in definitiva a ritenere che quel
pomeriggio a Napoli fosse la fine di gennaio del 1985.
C’era con lui un ragazzo di nome Charlie.