![]() |
Stepan Vladislavovič Bakalovič, Circolo
di Mecenate,
Mosca, Galleria Tret’jakov, 1890
|
Perché non ammettere, secundum Aelium Donatum, che il II libro
inizi con Postquam res Asiae che è l’incipit del III e il III con Conticuere omnes che è l’incipit dell'attuale II? Sappiamo per
giunta che l’ordo stabilito nel
primitivo progetto virgiliano – dopo la stesura in prosa e, secondo una
tradizione, scegliendo pochissimi versi tra i molti dettati di mattina, per un
totale di non più di tre esametri al giorno - non doveva rispettare una consequenzialità
temporale in senso stretto. Il III libro in modo particolare, più pieno di incoerenze
e puntelli, rimasto più degli altri quasi allo stato di abbozzo e irrisolta
provvisorietà, era stato ideato «perché costituisse l’inizio dell’opera, fu poi
spostato in questa sede perché il poema, alla maniera omerica, avesse inizio ex abrupto, in medias res e il racconto, quindi, conseguisse maggiore rilievo,
con più vivo effetto drammatico: così le peregrinazioni e i viaggi di Enea dopo
la distruzione di Troia non risultavano più esposti secondo l’ordine cronachistico,
cioè secondo la successione cronologica (in aderenza alla vecchia tecnica usata
dai poeti ciclici greci e dagli annalisti romani), ma retrospettivamente (Fabio
Cupaiuolo, Storia della letteratura latina,
Napoli 1994, p. 197)».
A
sentire Lucio Vario secondo quanto è attestato da Elio Donato, che trae la notizia
dal grammatico Niso che a sua volta è però testimonio di seconda mano, sarebbe
corretto che il I libro si concludesse come è stato finora con la richiesta di
Didone a Enea di narrare le sue “insidie” fin dall'inizio (I, 753-754: Immo age, et a prima, dic, hospes, origine nobis / insidias),
ma poi seguirebbe nel II libro (invece dell’attuale III) il racconto ex abrupto da parte di Enea dell’incontro
con lo spirito di Polidoro fino alla morte di Anchise. Il poema continuerebbe
con un flash-back nel flash-back lungo quanto il III libro (l’attuale II, v. 1:
Conticuere omnes intentique ora tenebant
) e il resoconto della distruzione di Troia alla regina fenicia e agli astanti
silenziosi e attoniti per poi arrivare al dramma e al suicidio di Didone nel
IV, come è tuttora. È un’attestazione di terza mano presente in Donato, ma
niente la contraddice. Anzi, se è stato reinserito il III al posto del II dopo
l’edizione di Vario e Tucca, allora sono da considerare virgiliani, come vuole
la stessa fonte, i primi quattro versi del libro I in modo da premetterli integralmente
al tradizionale Arma virumque (I, 1) così
da ottenere (I, 1-5), senza soluzione di continuità:
Ille ego, qui quondam gracili
modulatus avena
carmen, et
egressus silvis vicina coëgi
ut quamvis avido parerent arva colono,
gratum opus agricolis,
at nunc horrentia Martis
arma virumque cano, Troiae qui primus
ab oris
e L’Eneide risulterebbe concepita secundum Vergilium non in sequenza lineare-progressiva
di tipo cronachistico ma con salti in avanti e all’indietro che rendono il
poema più moderno di quello che si direbbe.