Stephen Frears è un regista che ho sempre apprezzato,
soprattutto per film come Prick Up - L'importanza
di essere Joe, Le relazioni
pericolose, The Queen. Questo Vittoria e Abdul è strepitoso. Ambientato nel periodo
tardo-vittoriano, sottolinea aspetti adorabili della personalità della regina
che suo malgrado aveva contrassegnato piuttosto negativamente un’intera epoca.
Il puritanesimo infatti derivava da precise esigenze economico-industriali cui,
tra gli altri, Stuart Mill cercava di portare una
luce critica, non tanto dalla personalità pure complessa di Vittoria. Qui è
negli ultimi suoi giorni, annoiata dal suo ruolo di “prigioniera” nel
susseguirsi di un cerimoniale che personalmente ritiene oramai inutile, avendo
perso tutti gli affetti significativi. Si incapriccia del giovane indiano
Abdul, che vuole sempre accanto a sé e che le ricorda il suo perduto Albert
sempre insostituibile ma cercato successivamente e forse disperatamente in un
più di una suggestione. Abdul l’aiuta a ritrovare vitalità a dispetto però di
una corte comprensibilmente preoccupata a causa dello spazio sempre più
ingerente che la sovrana, del resto imperatrice delle Indie, ma anche capo
della chiesa anglicana, gli permette di acquisire. E sembra sia una storia vera
(ma esistono le storie vere?) venuta effettivamente alla luce solo da qualche
anno, silenziata per più di un secolo dunque, qui spettacolarmente romanzata.
Oggi inevitabilmente si interseca col nostro minaccioso e minacciato scenario
internazionale, e da questo punto di vista suscita perplessità, ma in quegli
anni il predominio europeo non era stato ancora annullato dagli Stati Uniti, la
Gran Bretagna era la prima potenza mondiale e sicuramente non esistevano
problemi di globalizzazione. Perciò si può godere questo film come un
bellissimo apologo, commovente in finale e Judi Dench si conferma l’attrice
eccellente che è.
lunedì 30 ottobre 2017
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