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Dante Alighieri e Guido Cavalcanti |
Esistono
varie vite di Dante, ma per noi è come se non ce ne fosse nessuna che non sia l’opera.
Quella
di Emilio Pasquini (Vita di Dante, BUR
2006) è uno dei più bei libri su Dante che siano mai stati scritti. Svia già
dal titolo (ma non dal sottotitolo I
giorni e le opere), non trattandosi precisamente della vita di Dante, non
essendo peraltro sempre realmente esistita una vita di Dante che non fosse nell’opera,
coincidendo cioè, almeno da un certo punto in poi (la prima sentenza di
condanna al confino per baratteria è del 27 gennaio 1302, la condanna a morte
arriva poco dopo in contumacia, il 10 marzo) la vita con l’opera di Dante. Sono
ancora fondamentali, non c’è dubbio, gli Scritti
su Dante di Erich Auerbach (Feltrinelli 2009) che però non sono una vita di
Dante. Biondo era e bello di Mario
Tobino (Mondadori 1979) è più un romanzo che una biografia, peraltro dovizioso
nella contestualizzazione storica.
Della
sua giovinezza non sappiamo quasi niente.
La
stessa Vita nova è reticente, fuorviante
al punto che nulla è in grado di rivelarci di biografico neppure su Beatrice,
qualora sia, e non è certo (non nella Vita
nova) che sia proprio lei, la gentilissima, Bice Portinari.
Si
ruppe il rapporto d’amicizia con Guido Cavalcanti dopo il saluto negato di
Beatrice. Ciò dà da pensare: l’ostinazione dantesca a perseguire la
sublimazione dell’”amore autosufficiente”, istituzionalmente non
corrispondibile, con l’aggravante dell’apoteosi pagano-cristiana in cielo dopo
la morte di Beatrice non poteva trovare alleato il "dolce" stilnovista anomalo
che non riconosceva l’iter liberatorio
della donna-angelo e per il quale ostacolo alla conoscenza è l’angelo: tutto il
contrario che in Dante. Ciò è riscontrabile a partire dal sonetto Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io, «dove
egli invita gli amici con le loro compagne: per Dante, una delle donne-schermo.
Assai meno nota la risposta di Guido, non certo improntata alla stessa leggerezza:
egli infatti si chiama fuori da quella seducente evasione appellandosi alla
natura dolorosa del suo amore, fonte per lui non di sogni ma di “pesanza”, cioè
proprio di angoscia» (Emilio Pasquini, op. cit., p. 23).
Non
sappiamo a chi siano rivolti i versi delle “petrose” rime, collocabili tra il
1296 e fine 1297 o inizio del 1298. A Pietra, sì, ma al di là del nomen omen di questo misterioso amore,
ignoriamo l’identità di Donna Pietra: «sono quattro canzoni per un amore non
corrisposto verso una giovane donna, la cui durezza è paragonata alla pietra»
(Giorgio Petrocchi, Vita di Dante,
Laterza 2008, p. 71).
Dante di
Cesare Marchi (Rizzoli 1983) è soprattutto uno studio accurato e denso di
dettagli tendenti al romanzesco («Gemma era una povera donna, non certo votata
all’eroismo, vittima d’un gioco di passioni più grande di lei; una donna di
casa come tante, cui il turbine della politica aveva tolto la serenità
familiare», p. 91). Probabilmente il testo di maggior ampiezza nella
documentazione è Dante. Storia di un
visionario di Guglielmo Gorni (Laterza 2008), ma pure in questo caso gli
elementi biografici, reperiti attraverso un vaglio filologico di prim’ordine,
corrispondono agli aspetti esoterici e visionari presenti nella Commedia e nelle opere minori.
«Una
Beatrice di Folco Portinari – scrive Gorni - andata sposa a un Simone Bardi e
morta in giovane età, si concede, per quello che è dei referti terreni. Ma
perché Dante, così mutevole per natura, “trasmutabile” e innovativo in ogni
campo, ne fece una costante, di vita e d’ispirazione? […] Beatrice, che designa
la quintessenza del femminile nei rapporti di Dante con le donne, è soprattutto
un nome» (p. 113).