martedì 1 maggio 2012

Romanzo-saggio




Contro Sainte-Beuve di Marcel Proust – che intanto non è una pre-Recherche – è un saggio incorporato al romanzo o un romanzo incorporato al saggio? I materiali utilizzati sono i più disparati, tanto quelli narrativi preparatori alla Recherche quanto quelli critici su Sainte-Beuve, Baudelaire, Balzac. Nella Recherche Sainte-Beuve è Madame de Villeparisis o quantomeno a lei sono attribuiti quelli che l’autore considera errori di Sainte-Beuve: 1) la questione dell’”io” dello scrittore che per Proust non coincide con l’”io” anagrafico, o esistenziale, ma con un “io” più profondo e diverso dall’altro; 2) la questione della qualità dell’opera per Proust non riguarda la vita privata dell’”io” anagrafico: non esiste alcun rapporto tra vita e opera in termini valoriali (questa problematica era già stata presente nel Jean Santeuil). 
Ma fino a che punto questi due “io” sono diversi? La semantica psicanalitica è in grado di tentare alcune risposte e Lacan, dichiarandosi neutrale nei confronti tanto di Sainte-Beuve quanto di Proust, invitava ad applicare la psicanalisi non ai dati esistenziali ma all'opera, perché è lì e non nella vita che si manifesta più profondamente lo scrittore. 
La Recherche va tutta quanta in direzione sbagliata, programmaticamente, per volontà del suo autore, questa è la sua grandezza e il suo fascino, la sua essenziale inutilità di opera d’arte (lo stesso Narratore è a suo modo un analista freudiano del proprio racconto). “Il più grande dolore della mia vita? La morte di Lucien de Rubempré in Splendeurs et misères des cortigianes!” disse Oscar Wilde nella prima parte della sua vita. Un’intuizione di Proust è stata quella di averci fatto intravedere che i grandi scrittori di ogni epoca sono un unico genio che attraverso le molte epoche, non senza contraddizioni, vive ripercorrendo la storia dell’umanità. (cfr. Sainte-Beuve e Balzac, in Contro Sainte-Beuve). 
“Uno scrittore che possiede del genio a intervalli, per poter condurre il resto del tempo una piacevole esistenza di dilettantismo mondano e letterario, è una concezione altrettanto falsa e ingenua di quella d’un santo il quale conduca la più elevata vita morale al fine di poter godere in paradiso d’una vita di piaceri volgari” (op. cit., Einaudi 1991, p. 78). E qualche riga dopo continua: “Spesso la signora di Guermantes, quando andavo a trovarla, se si accorgeva che i suoi visitatori si annoiavano, mi diceva: - Volete salire a trovare Henri? Dice che non c’è, ma voi, sarà felice di vedervi!” – E siamo già ai toni narrativi della Recherche.
“Per uno scrittore, infatti, quando legge un libro, l’esattezza dell’osservazione sociale, il partito preso del pessimismo, o dell’ottimismo, sono dati di fatto che egli non discute, di cui non si accorge neppure. Ma per i lettori ‘intelligenti’ il fatto che il racconto sia ‘falso’ o ‘triste’ è come un difetto personale dello scrittore, difetto che essi sono stupiti e abbastanza estasiati di ritrovare, anche esagerato, in tutti i suoi libri, come se non avesse saputo emendarsene, e che finisce per conferirgli ai loro occhi il carattere antipatico di una persona senza criterio o che induce al malumore e che è meglio non frequentare, così che ogni volta che il libraio presenta loro un libro di Balzac o di George Eliot, rispondono rifiutandolo: “Oh, no! sono sempre falsi, o tetri, l’ultimo ancor più di tutti gli altri, non ne voglio più” (ibidem, pp. 84-85).
Su Balzac neppure Sainte-Beuve aveva tutti i torti, infine:
“In quel salotto Madame de Sérizy non era ricevuta, benché fosse nata Ronquerolles” (Balzac, Splendeurs et misères des cortigianes, XV).
“Ma, siccome qui si scorge la mano di Balzac, si crede un po’ meno all’esistenza di quei Grandlieu che non ricevevano la signora de Sérizy” (Proust, op. cit., p. 90).

lunedì 30 aprile 2012

Dizionario Latino di Rusconi Libri (2011). Una recensione




È irrituale recensire un vocabolario, e questa decisione verrà forse interpretata dal malevolo lettore come una provocazione situazionista, considerando la produzione letteraria italiana contemporanea. Che cosa invece ci ha spinti ieri a prendere presso un ipermercato un piccolo dizionario latino-italiano italiano-latino? Viene fatto di rispondere: pura bibliomania. Ma, a parte questo, pur constatando che a casa mia non mancano vocabolari di latino e greco, mi ha sedotto la sua ridotta, ma non piccolissima, mole materiale. Mi capita che durante un viaggio più lungo portandomi dietro il computer ogni volta rinuncio al vocabolario di latino, sia al Georges sia al Castiglioni-Mariotti (impropriamente detto IL, come un articolo laddove si tratta di una sigla per italiano-latino) semplicemente perché mi prenderebbero troppo spazio, e questa rinuncia è fatta sempre malvolentieri, ma non mi fido dei vocabolari on line. La prossima volta, invece, sarà più agevole questo piccolo Dizionario Latino di Rusconi Libri (2011).
Certo soltanto a uno studente poco motivato o ai principianti (ma solo in una breve fase, per cui tanto vale passare subito ai grandi dizionari) oppure a un esperto che si trovi in circostanze ambientali insolite è lecito far uso di uno strumento come questo, dove dei vocaboli latini non vengono riportate che poche parole tradotte, le aree semantiche non sono suddivise, non si può consultare l’epoca del termine mancando la trascrizione degli autori di riferimento, non si può distinguere l’espressione dialettale, non c’è un minimo cenno di grammatica storica comparativa; viceversa, non mancano i genitivi dei sostantivi né i paradigmi dei verbi. Del resto, come ha scritto Rossana Valenti, «la didattica dell’antico non si identifica con l’insegnamento di nozioni e saperi considerati anacronismi inutili, un corredo mentale di cui la società ha deciso di fare a meno, ma è piuttosto la via maestra, se non l’unica, per portare nel mondo nuovo le radici che ci hanno alimentato, le parole ricche del senso che uomini saggi hanno tentato d’infondervi, e che vogliamo ancora pronunciare e condividere, le idee che non vogliamo smettere di pensare» (Il latino dentro e oltre la scuola. Memoria, identità, futuro, Loffredo 2011, p. 11). 
Tornando alla motivazione iniziale, mi viene in mente un aneddoto tramandato negli ambienti universitari napoletani riguardante Benedetto Croce, notoriamente bibliomane il quale, essendogli stato detto con ammirazione da una signora che lo aveva colto mentre frugava su una bancarella di San Biagio dei Librai: “Maestro, vedo che si mantiene in spirito…” (Croce non era laureato), rispose, alludendo al proprio carattere ruvido: 
“No, mi mantengo in aceto!” 



sabato 21 aprile 2012

Mostra in memoria di Antinoo a Tivoli. Una recensione



È in corso a Tivoli, presso Villa Adriana, dal 5 aprile al 4 novembre 2012 la mostra intitolata Antinoo. Il fascino della bellezza, dedicata al favorito di Adriano che annegò nelle acque del Nilo e cui l’imperatore tributò onori divini dopo la morte. L’importanza di questa iniziativa è una riprova tangibile del principato umanistico (come esaltazione della conoscenza filosofica in senso sia formale sia lato) di Adriano (117-138 d.C.) che insieme a Antonino Pio e Marco Aurelio si impose come un’anomalia del regime illiberale che durava dall’epoca dei Giulio-Claudi e non avrebbe più conosciuto eccezioni successive a parte forse i soli Galieno e Giuliano l’Apostata.
Antinoo non era che un ragazzo dotato di qualità intellettuali e morali tutto sommato ordinarie, quello che doveva aver attratto il principe fu la simbolizzazione del proprio progetto di riforma estetica nell’ambito dell’amministrazione delle province, che vide incarnato in lui quando lo conobbe in Bitinia. La novità di questa mostra è soprattutto nell’egittizzazione dell’erómenos associato al culto di Iside e nella rappresentazione speculare di sguardi col maturo erastés che appare, secondo l’inconografia ufficiale, sempre con la barba all’uso dei filosofi antichi di contro all’espressione consapevole e malinconica dell’altro. Il protocollo che dai tempi di Augusto riservava la deificazione soltanto ai membri della famiglia reale fu comunque clamorosamente rotto nonostante lo sconcerto silenzioso di un senato del resto, dopo la morte di Cesare, esautorato di qualsivoglia funzione effettuale.
Si avverte il potere illimitato del principe, la cui presenza metteva a disagio Frontone e dall'autoritarismo evidente. Il cordoglio per il lutto fu universale, la morte di Antinoo lo gettò in una disperazione che arrivò tuttavia a imbarazzare la corte, già trasferita in gran parte da Roma alla Villa, che è una vera e propria città, anche più grande di Pompei. Oltre alle ipotesi già formulate del suicidio e di un banale incidente, è probabile che Antinoo sia caduto per volontà di altri cortigiani smaniosi di prenderne il posto. Le Memorie di Adriano della Yourcenar sono pur sempre il più espressivo documento romanzato, ma basato sull’Historia Augusta, delle vicende di questo singolare imperatore, assimilabile ad Augusto (amico di Mecenate e del filosofo Areio) e al macedone Antigono Gonota. I suoi numerosi viaggi non furono tanto i capricci di un esteta quanto un vero e proprio metodo di governo, Adriano arrivò tardi al trono e grazie a un raggiro col prefetto del pretorio e con Plotina, moglie del predecessore Traiano, che lo nominò erede solo in punto di morte, l’8 agosto 117. Anche gli storici antichi dubitavano della legittimità della successione.





venerdì 13 aprile 2012

“Torno subito”






Una ventina di giorni fa, ai primi di agosto, sono andato a cena con Elsa Morante. Faceva un gran caldo, Roma era deserta. Come due cani fedeli, ci siamo incontrati in una vecchia trattoria di via della Vite. Abbiamo litigato. Devo confessare che mi sentivo, a quella temperatura da vapoforno, depresso, inacidito e infelice. Non ricordo che cosa ordinammo. Ricordo che a un tratto mi trovai a profetare per il mondo un destino insieme sinistro e ottimistico. Dissi a Elsa che tutti i lamenti contro la civiltà attuale erano il frutto della nostra miopia. In realtà, siamo gli epigoni di una stagione umana che ha avuto un inizio e avrà la sua fine. Ma contro tutti i piagnistei di moda, questa fine sarebbe stata vittoriosa. […]
Ricordo adesso che la Morante stava mangiando delle ovoline. Mi disse che si stupiva ch’io potessi dire tante sciocchezze. La morte, obiettò, non esiste, è un’apparenza dei sensi. Quello che veramente «è» non ha mai avuto inizio e non avrà mai fine. Della realtà, noi vediamo soltanto una fetta insignificante. A mia volta, la accusai di «spiritualismo». Le dissi che era una mistica, e che tutte le sublimi filosofie orientali mi sembravano terapie inventate per curare un male incurabile. […] Il male dell’uomo, dissi a Elsa facendo del Nietzsche senza volerlo, non è di non potere uscire dalla sua realtà minorata. È di non potere uscire dalla religione. È tempo che ne esca. Ma il prezzo per uscirne, è di sposare la morte. «I tuoi F.P.»  conclusi «non sono affatto felici. Sono vivi. Puzzano di vita. È diverso».
Fu Elsa a proporre di andare a prendere un po’ di fresco nel giardino di un bar. Capii che aveva deciso di sorvolare sulle mie sciocchezze. Ero pieno di vergogna. Ci alzammo e arrivammo fino al bar. Le fui grato di avere cambiato discorso. Ordinai uno yoghurt. E a quel punto, lei mi disse che io non avevo mai letto il Mondo salvato dai ragazzini, e che era inutile che continuassi a mentirle dicendole il contrario. Era chiaro che soffrivo di un complesso nei confronti di quel libro. Mentii sempre più debolmente, la mia buonafede vacillava. Era vero. Avevo letto il Mondo salvato dai ragazzini in fretta e male. Tornai a casa e lo lessi.
[…]
Dimenticavo come poi finì la serata. Elsa tornò sull’argomento (l’ultima parola è sempre la sua), ma solo per un istante. «Sia ben chiaro» concluse «che in ogni modo so già cosa fare quando morirò. Troverete in una busta un biglietto dove ci sarà scritto: “Torno subito”». Poi rovesciò la testa all’indietro, alzando il mento in un gesto di sfida infantile, guardandomi fieramente come spiasse l’effetto della sua prodezza. Mi precedette solo di una frazione di secondo con uno scoppio d’ilarità che risuonò tra i tavoli deserti come un applauso, prima che ci trovassimo a ridere insieme.

settembre 1971

Cesare Garboli, Il gioco segreto. Nove immagini per Elsa Morante, Adelphi 1995, pp. 148-152.

sabato 24 marzo 2012

L'ateismo di Giacomo Leopardi

Il libro di Marcello D’Orta All’apparir del vero. Il mistero della conversione e della morte di Giacomo Leopardi (Piemme) è spesso insopportabilmente retorico. Noiose e dopotutto inutili le molte pagine che indugiano sul mistero della sepoltura del poeta-pensatore. La tesi di fondo – una presunta conversione in extremis al cristianesimo da parte di Giacomo Leopardi – è forzata e non convince. 

venerdì 23 marzo 2012

La Commissione per le indicazioni nazionali avrebbe censurato alcuni autori italiani del Novecento. Una polemica sbagliata.



La libertà d'insegnamento è garantita dalla Costituzione, e nessuno obbliga a non trattare Sciascia o Quasimodo al quinto anno, o anche prima e lo dico per esperienza diretta. Non vedo dove sia la censura se in un modulo per es. sul Novecento, in particolare mettiamo sul famoso "impegno" (che nel radicale Sciascia fu oltremodo indiscutibile, come in Moravia che a sua volta nemmeno si asservì mai, neppure durante il fascismo, ad alcun ideologismo) degli intellettuali si introducano unità didattiche riguardanti Sciascia o Vittorini (se proprio ci si tiene; Vittorini che non capì Il Gattopardo), e addirittura nel biennio non mi risulta che siano scomparse le pagine riguardanti gli autori oggetto di questa stravagante rivendicazione, nella fattispecie data. Non vedo come si possa censurare una lezione riguardante una di queste unità didattiche, a parte il fatto che in genere le programmazione di dipartimento prevedono strumenti e metodi assolutamente personalizzabili e adattabili alle innumerevoli variabili specifiche, come per es. appunti o materiale in fotocopia o altri testi o laboratori di lettura, magari su Scotellaro, ecc. Tutto ciò è di una ingenuità disarmante. Il problema sono semmai i tempi: a stento si arriva a D'Annunzio e Pirandello purtroppo. Ma sulla scuola ognuno è pronto a sparare a zero, sulla scuola si è sempre poco o niente affatto informati, anche da dentro fino alla negazione dell'evidenza davvero, intorno alla scuola e all'Accademia da sempre circolano le polemiche più bizzarre e fantasiose, questa qui in particolare è sbagliata e strumentale in un modo che fa cascare le braccia per terra.
È una polemica sbagliata, strumentale e anche ridicola, si richiede all'istruzione pubblica di affrontare e risolvere qualsiasi problema e nei vari insegnamenti che si ricoprono, di trattare tutto, come anche all'università laddove l'una e l'altra non possono che offrire alcuni fondamentali strumenti di conoscenza critica; è ancora poco lo so, ma sarebbe già molto questo poco, e lo è. Sono, invece, con lampante pressappochismo, questi, nient'altro che pretesti accampati da chi non vive quotidianamente la realtà delle cose. Si fa una gran confusione: è ovvio che se nella circolare ministeriale sono stati fatti dei nomi, non si impongono come elenco esaustivo se non come elemento rappresentativo, che non è in grado di circoscrivere il limite della scelta legittima in senso critico e necessariamente pluralistico. E qui - come altrove - è evidente il comportamento (che, per giunta, non mi meraviglia affatto) che interessa una parte - forse più “forte”, mi augurerei di no... - della cosiddetta cultura italiana che non solo è molto provinciale, anche quella extra-accademica, ma anche - come in questo caso - conformista e acritica, di grave peso propagandistico e antipedagogico. Insomma, la matrice che sottende una strategia siffatta è simile al delirio per il tifo sportivo ed è di tipo fortemente sottoculturale. Il conformismo è il primo nemico della conoscenza.






BIBLIOTECA NAZIONALE NAPOLI Ufficio Stampa Gennaio Febbraio 2011 n° 1


Certo, non tutti hanno la fantasia del mitico Sandrino De Fazi, artista, docente di greco e personaggio di culto su Facebook, che per le edizioni Fabio Croce ha pubblicato Ti scrivo brevemente per chiederti scusa dei miei silenzi, ecco dov’era finito, sotto lo zen della Caggiano, e lui chemirimprovera di non citarlo mai: e già che ci sono lo metto in bella vista vicino al mio pupazzo di Spiderman, De Fazi è un caso raro. (Massimiliano Parente)