Una ventina di giorni fa, ai primi di agosto, sono andato a cena con Elsa Morante. Faceva un gran caldo, Roma era deserta. Come due cani fedeli, ci siamo incontrati in una vecchia trattoria di via della Vite. Abbiamo litigato. Devo confessare che mi sentivo, a quella temperatura da vapoforno, depresso, inacidito e infelice. Non ricordo che cosa ordinammo. Ricordo che a un tratto mi trovai a profetare per il mondo un destino insieme sinistro e ottimistico. Dissi a Elsa che tutti i lamenti contro la civiltà attuale erano il frutto della nostra miopia. In realtà, siamo gli epigoni di una stagione umana che ha avuto un inizio e avrà la sua fine. Ma contro tutti i piagnistei di moda, questa fine sarebbe stata vittoriosa. […]
Ricordo adesso che la
Morante stava mangiando delle ovoline. Mi disse che si stupiva ch’io potessi
dire tante sciocchezze. La morte, obiettò, non esiste, è un’apparenza dei
sensi. Quello che veramente «è» non ha mai avuto inizio e non avrà mai fine. Della
realtà, noi vediamo soltanto una fetta insignificante. A mia volta, la accusai
di «spiritualismo». Le dissi che era una mistica, e che tutte le sublimi
filosofie orientali mi sembravano terapie inventate per curare un male
incurabile. […] Il male dell’uomo, dissi a Elsa facendo del Nietzsche senza
volerlo, non è di non potere uscire dalla sua realtà minorata. È di non potere
uscire dalla religione. È tempo che ne esca. Ma il prezzo per uscirne, è di
sposare la morte. «I tuoi F.P.» conclusi
«non sono affatto felici. Sono vivi. Puzzano di vita. È diverso».
Fu Elsa a proporre di
andare a prendere un po’ di fresco nel giardino di un bar. Capii che aveva
deciso di sorvolare sulle mie sciocchezze. Ero pieno di vergogna. Ci alzammo e
arrivammo fino al bar. Le fui grato di avere cambiato discorso. Ordinai uno
yoghurt. E a quel punto, lei mi disse che io non avevo mai letto il Mondo salvato dai ragazzini, e che era
inutile che continuassi a mentirle dicendole il contrario. Era chiaro che
soffrivo di un complesso nei confronti di quel libro. Mentii sempre più
debolmente, la mia buonafede vacillava. Era vero. Avevo letto il Mondo salvato dai ragazzini in fretta e
male. Tornai a casa e lo lessi.
[…]
Dimenticavo come poi
finì la serata. Elsa tornò sull’argomento (l’ultima parola è sempre la sua), ma
solo per un istante. «Sia ben chiaro» concluse «che in ogni modo so già cosa
fare quando morirò. Troverete in una busta un biglietto dove ci sarà scritto: “Torno
subito”». Poi rovesciò la testa all’indietro, alzando il mento in un gesto di
sfida infantile, guardandomi fieramente come spiasse l’effetto della sua
prodezza. Mi precedette solo di una frazione di secondo con uno scoppio d’ilarità
che risuonò tra i tavoli deserti come un applauso, prima che ci trovassimo a
ridere insieme.
settembre 1971
settembre 1971
Cesare Garboli, Il
gioco segreto. Nove immagini per Elsa Morante, Adelphi 1995, pp. 148-152.
Nessun commento:
Posta un commento