Contro
Sainte-Beuve di Marcel Proust – che intanto non è una pre-Recherche – è un saggio incorporato al romanzo o un romanzo
incorporato al saggio? I materiali utilizzati sono i più disparati, tanto
quelli narrativi preparatori alla Recherche
quanto quelli critici su Sainte-Beuve, Baudelaire, Balzac. Nella Recherche Sainte-Beuve è Madame de
Villeparisis o quantomeno a lei sono attribuiti quelli che l’autore considera
errori di Sainte-Beuve: 1) la questione dell’”io” dello scrittore che per
Proust non coincide con l’”io” anagrafico, o esistenziale, ma con un “io” più
profondo e diverso dall’altro; 2) la questione della qualità dell’opera per
Proust non riguarda la vita privata dell’”io” anagrafico: non esiste alcun
rapporto tra vita e opera in termini valoriali (questa problematica era già
stata presente nel Jean Santeuil).
Ma fino a che punto questi due “io” sono
diversi? La semantica psicanalitica è in grado di tentare alcune
risposte e Lacan, dichiarandosi neutrale nei confronti tanto di Sainte-Beuve
quanto di Proust, invitava ad applicare la psicanalisi non ai dati esistenziali
ma all'opera, perché è lì e non nella vita che si manifesta più
profondamente lo scrittore.
La Recherche
va tutta quanta in direzione sbagliata, programmaticamente, per volontà del suo
autore, questa è la sua grandezza e il suo fascino, la sua essenziale inutilità
di opera d’arte (lo stesso Narratore è a suo modo un analista freudiano del
proprio racconto). “Il più grande dolore della mia vita? La morte di Lucien de
Rubempré in Splendeurs et misères des
cortigianes!” disse Oscar Wilde nella prima parte della sua vita. Un’intuizione di Proust è stata quella di averci fatto
intravedere che i grandi scrittori di ogni epoca sono un unico genio che
attraverso le molte epoche, non senza contraddizioni, vive ripercorrendo la
storia dell’umanità. (cfr. Sainte-Beuve e
Balzac, in Contro Sainte-Beuve).
“Uno
scrittore che possiede del genio a intervalli, per poter condurre il resto del tempo una piacevole esistenza di
dilettantismo mondano e letterario, è una concezione altrettanto falsa e
ingenua di quella d’un santo il quale conduca la più elevata vita morale al
fine di poter godere in paradiso d’una vita di piaceri volgari” (op. cit., Einaudi 1991, p. 78). E
qualche riga dopo continua: “Spesso la signora di Guermantes, quando andavo a
trovarla, se si accorgeva che i suoi visitatori si annoiavano, mi diceva: -
Volete salire a trovare Henri? Dice che non c’è, ma voi, sarà felice di
vedervi!” – E siamo già ai toni narrativi della Recherche.
“Per uno scrittore, infatti, quando legge un libro, l’esattezza
dell’osservazione sociale, il partito preso del pessimismo, o dell’ottimismo,
sono dati di fatto che egli non discute, di cui non si accorge neppure. Ma per
i lettori ‘intelligenti’ il fatto che il racconto sia ‘falso’ o ‘triste’ è come
un difetto personale dello scrittore, difetto che essi sono stupiti e
abbastanza estasiati di ritrovare, anche esagerato, in tutti i suoi libri, come
se non avesse saputo emendarsene, e che finisce per conferirgli ai loro occhi
il carattere antipatico di una persona senza criterio o che induce al malumore
e che è meglio non frequentare, così che ogni volta che il libraio presenta
loro un libro di Balzac o di George Eliot, rispondono rifiutandolo: “Oh, no!
sono sempre falsi, o tetri, l’ultimo ancor più di tutti gli altri, non ne
voglio più” (ibidem, pp. 84-85).
Su Balzac neppure
Sainte-Beuve aveva tutti i torti, infine:
“In quel salotto
Madame de Sérizy non era ricevuta, benché fosse nata Ronquerolles” (Balzac, Splendeurs et misères des cortigianes,
XV).
“Ma, siccome qui si
scorge la mano di Balzac, si crede un po’ meno all’esistenza di quei Grandlieu
che non ricevevano la signora de Sérizy” (Proust, op. cit., p. 90).
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