Il
regista turco torna al meglio della sua ispirazione iniziale, non intaccata da
tanto successo nel frattempo ottenuto. Napoli
velata è un’opera esteticamente significativa nel rappresentare il meglio
della napoletanità, capace di farsi universale anche oltre il tempo storico grazie,
tra l’altro, ai molti scenari della città, tra cui spicca il Museo
Archeologico.
Ma
il film di Ferzan
Ozpetek è importante e nuovo per l’apertura esoterica in esso
presente, in termini di possibilità di letture molteplici della realtà, di
energie spirituali che a vario titolo si intrecciano nei rapporti tra i
personaggi. è insomma un film magico, opera aperta e “folle” in un senso
anche inquietante ma in questo caso molto profondo, dà risposte significative
sulle cose belle e anche brutte della vita, sempre con vitalità e poesia.
Si tratta
anche di uno svelamento del “velo”, cui allude il titolo, gergalmente
attribuito, di solito, a gay repressi che non si accettino e perciò chiamati “velate”.
Qui invece è piuttosto la ricerca di una verità tanto ulteriore quanto
primigenia, che forse alla fine non si troverà mai. Detto questo, i comportamenti
disinvolti della protagonista, che va di avventura in avventura, sono più
consoni allo stile di vita promiscuo del mondo omosessuale che non a quelli di
una donna, per cui non si capisce perché non si sia scelto direttamente al suo
posto un personaggio maschile.
Vero è che la
dottoressa Adriana è clinicamente descritta con coerenza nel film. Ma sembra più
un gay che una donna, sia pure fuori degli stereotipi convenzionali della
femminilità.
Il finale è
aperto e non lo si può svelare, perché è giusto che ogni spettatore si faccia
liberamente una propria idea.
Mi limito
soltanto a dire che, personalmente, credo a queste forze teurgiche che hanno
attraversato l’arte e la letteratura già fin dagli antichi autori pagani, quindi
per me la soluzione dell’intreccio è decisamente su questa linea. è quella che mi convince di più – lo spettatore
saprà, dopo aver visto il film, a cosa mi riferisco -, senz’altro la più
affascinante.
Va segnalata la
superba bravura di Maria Luisa Santella, imprevedibile ed emozionante come
sempre.
Peppe Barra
offre uno spettacolo godibilissimo e, non in ultimo luogo, sono rilevanti naturalmente
Giovanna Mezzogiorno, Lina Sastri, Anna Bonaiuto e Alessandro Borghi nei panni,
o senza, dell’ambiguo Andrea.
1 commento:
Mi ritrovo in queste parole, in questa spiegazione molto fine e meticolosa.
Il significato di velo, inteso nella sua accezione più semplice di impedimento alla vista che si frappone fra gli occhi e gli oggetti, accompagna radicato e leggero ogni sfumatura di questo spettacolo a mio avviso lungimirante e caratteristico (finanche nella scelta dei personaggi).
Grazie per la recensione!
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