Qui il corpo è tenuto in penombra: l’atto amoroso è
presente come conseguenza e non come scena.
La commercialista di Bansky racconta una storia d’amore dichiaratamente
felice, vissuta sotto il segno dell’esposizione e della continuità. Non c’è
dramma risolutivo né crisi fondativa: l’amore è dato come evento che accade e
che, proprio per questo, chiede di essere continuamente riaffermato. Queste poesie
non riguardano l’innamoramento come frattura ma come stato che si prolunga e si
ripete, si misura col tempo e con la paura della dispersione. Ne deriva una
scrittura che assume la forma di una cronaca sentimentale, fedele non tanto
all’eccezionalità dell’amore quanto alla sua durata.
Talvolta il gioco paronomastico («La donna per cui ho / perso la testa. / La donna che ho / sempre in testa») è volutamente semplice, quasi dimesso, e proprio per questo significativo. Non c’è ascesa né metafisica: c’è invece un’insistenza mentale quasi ossessiva. L’angelicazione è evocata per essere immediatamente neutralizzata; la donna non è principio di elevazione, bensì presenza che abita il pensiero senza trasfigurarne lo statuto. In questo senso, la ripetizione che attraversa l’intera raccolta non va letta come impoverimento del dettato, ma come scelta etica. L’io poetico non cerca l’epifania né l’evento che risolve: affida invece la scrittura alla permanenza di un sentimento che chiede di essere detto ancora, non perché cambi, ma proprio perché resta.
La commercialista di Bansky è così un libro che rinuncia alla trasfigurazione per custodire la
continuità, e trova in questa rinuncia la propria coerenza più profonda.
Sandro De Fazi
Vigilia
di Natale 2025
