Beatrice allor con sue parole argute:
“Se
mi avessi disiata e non amata,
le
belle membra mie avresti avute.”
Rispuosile
io: “So che un’altra fiata
non
mi si dà, madonna, ’n terra piùe,
or
che vostra bellezza se n’è andata.
Però
lasciam che fu ciò che già fue.”
Ma
ella a me severamente disse:
“Ben
ascolta: le colpe sono tue!
oscurandoti
il genio le tue fisse
püerilmente
ostili a questa altezza,
come
se ’l pan degli angeli partisse
mentre
sussiste ancora mia fattezza.
La
sai, che l’asseconda in vita e in arte
per
me ’l tuo verbo ornato nell’ebbrezza.”
Ond’io:
“Contradizion nelle mie carte
non
mi si svela: perché anteponeste
il
disìo che d’amor è la gran parte
alla
vita per cui chiusura aveste,
nova
bensì, con velen d’argomento?
Ditelo
a me, qualora lo voleste!”
“Eppure
la ragion del mio sgomento”
ricominciò
“dovrebb’esserti chiara
e
del perché passò quel bel momento
che
mi costrinse a usar parola amara
e
a negarti il favor che poi ho dato
altrui
di cor, senza essere avara.
Purtroppo
tu non misurasti l’iato
chiedendo
a me che le divine pose
oggimai
si fondesser nel guatato:
comprendimi,
dovevi finger cose
per
ottener mie luci, non l’amore
si
addiceva e ’l silenzio ti rispose.”
“Con
tutto ciò, non capisco il furore
per
cui pensaste che ’i disïavo
solo
la vostra imago nelle ore
e
garzone pertanto sragionavo.
Confortato,
per l’etere che andiamo
in
vostra compagnia mi faccio bravo
come
in quel dì specificando: ‘v’amo’:
in
seguito, svoltando salutai
incontrandovi
a caso, in quanto bramo
ma
per vostro sorriso non restai,
luce magis dilecta,
nei miei drammi
né
più grazie a Virgilio sono tai.”
E
disse appresso: “La matera fammi
grande
nel seggio e canoscenza spira,
l’esser
del mondo lo suo raggio dammi.”
Silogizzò,
qual colei che delira
né
io compresi come si conviene
’l
verbo alla cosa, constatai senz’ira.
Nessun commento:
Posta un commento