«Un allievo di
Althusser, Rancière, cominciò ad accusare il maestro di essere troppo teorico,
ed allora si buttò nello studio “materiale” alla Braudel della classe operaia
francese dell’Ottocento. Mille gelosie si accesero. Soprattutto, si alzò
l’accusa di “teoricismo”.
Apro una parentesi.
Per me accusare un teorico di teoricismo è come accusare un radiologo di
radiologismo. Da un radiologo, ovviamente, vogliamo che usi ed interpreti
sempre meglio le lastre, le ecografie, le TAC e le risonanze magnetiche, non
vogliamo che si immedesimi emozionalmente con le angosce dei suoi malati. Se
poi riesce a fare anche questo, tanto meglio, purché non interferisca nelle sue
capacità radiologiche. Solo un cretino non capirebbe questo. Ma tutto ciò non è
alla portata del militante medio, del burocrate comunista novecentesco e
soprattutto dell’intellettuale roso dai complessi di colpa, l’equivalente ateo
della “superbia” del credente. Fare teoria in modo spregiudicato (giusta o
sbagliata che sia, ovviamente) è assimilato ad un peccato di superbia
piccolo-borghese. Questo meccanismo di colpevolizzazione, ovviamente, è
funzionale al rapporto di “complicità” fra dirigenti di vertice e militanti di
base. I dirigenti di vertice non vogliono far sapere, mentre i militanti non
vogliono sapere. In mezzo, i teorici innovatori vengono stritolati e triturati.
Ovviamente, questo fu anche il caso di Althusser, che era già ampiamente nevrotico
per conto suo, come la sua autobiografia e la biografia di Yann Moulier Boutang
testimoniano ampiamente. Ed allora il povero Althusser fece la sua brava
autocritica, e si discolpò del suo peccato di “teoricismo”. Si discolpò,
ovviamente, di avere realizzato una delle più geniali riforme della teoria
marxista del Novecento.»
(Costanzo Preve, L’eredità intellettuale di Louis
Althusser (1918-1990) e le contraddizioni teoriche e politiche
dell’althusserismo)
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