Il 2 febbraio 2018 alle
ore 18 presso la Libreria Feltrinelli di Caserta dialogherò con Paolo Crimaldi
sul suo libro Psicologia karmica
lunedì 29 gennaio 2018
martedì 23 gennaio 2018
L'ESSERE DELL'IDEA: DA BEATRICE AL GEORGE-KREIS
Il platonismo vissuto, quale si trova in
Dante e negli altri stilnovisti, nonché nelle Rime di Michelangelo, è la legittimazione letteraria
dell'esaltazione fisica.
Esso è certo a prima vista riduttivo
dell'esperienza concreta: basandosi quest'ultima sulla mera apparenza dei
particolari corporei - il bel viso, ma poi la carne in generale - potrebbe
incontrare l'obiezione, ipoteticamente proprio
da parte degli oggetti
così celebrati, che l'amore risultante non sia autentico, perché parziale, né
da prendersi seriamente. Ma, essendo Beatrice o Tommaso Cavalieri soltanto
oggetti simbolici, le loro persone reali soltanto pretesti, essi finiscono per
moltiplicare le loro identità trasfigurate, per farsi energia dell'esperienza
amorosa fuori della letteratura.
l tentativo superoministico di Stefan
George è stato insieme vitalistico e letterario.
Esso ha rappresentato qualcosa di più di
una poetica tensione ideale o esperienza praticata nell'ambito comunitario, sia
pur elitario, del George-Kreis. È stato la conferma, sul finire dell'Ottocento
e agli inizi del Novecento, di come l'Eros culturale si coniughi perfettamente, nel contesto delineato, con l'essere dell'idea. E
se ne capisce pure bene il motivo. Tenere vivo il desiderio senza giungere al
suo compimento valorizza la sublimazione. Il giovanissimo Maximin Kronberger
come Beatrice muore infatti prematuramente. [...] Sta di fatto che il
fondamento del George-Kreis diventò spinta propulsiva in senso civile, in
termini di estetismo ellenico e coincidendo col nazionalismo tedesco,
successivamente confluito nella deriva nazista, dalla quale George si dissociò
(benché questo punto sia controverso). Certo il nazismo strumentalizzò George
non diversamente da Nietzsche. Ma importa soprattutto evidenziare
l'analogia con l'educazione dell'uomo greco dell'antichità in direzione
della polis. E Werner Jaeger si appellerà a un ritorno alla paideia, dopo la
seconda guerra mondiale.
* * *
Crocevia
Crocevia...
siamo alla fine.
Già è scesa la sera:
anche questa è la fine.
Breve il cammino:
chi può esserne stanco?
Per me è già troppo lungo:
il dolore stanca.
Mani si offrivano:
perché non le hai prese?
Sospiri sospesi...
non li hai intesi!
La mia strada
tu non la segui.
Lacrime scorrono
tu non le vedi.
(Stefan George,
trad. Quirino Principe)
martedì 9 gennaio 2018
venerdì 5 gennaio 2018
Della rivoluzione informatica è innegabile l'utilità. Sono invece in una
fase scettica riguardo ai social.
A che servono? Sono il trionfo del narcisismo, dell'autoreferenzialità. Sui
social sono tutti divi e nessuno è divo. Inoltre creano dipendenza, così non
c'è più il soffermarsi a lungo nella lettura di un libro, se si va in un museo
invece di contemplare l'arte si scattano fotografie, se si sta in compagnia
spesso ugualmente si fanno foto finanche ai cibi e alle bevande, se si fa
un viaggio non ci si comporta altrimenti che immortalando in tempo reale i
momenti ritenuti salienti, e che risultano immediatamente virtuali.
Anche corteggiare qualcuno significava una volta avere il coraggio della
realtà, implicava l'emozione di una risposta, il rischio di un rifiuto, la
magia imprescindibile della vittoria. Ora, al contrario, si azzerano tutte le
esperienze e i rapporti, per la loro sovrabbondanza virtuale.
Tutta questa enorme quantità di informazioni equivale a nessuna
informazione, tutti questi contatti non corrispondono ad alcun contatto,
brancoliamo nell'oscurità ricordando inutilmente un passato dove la vita era la
vita e non il suo surrogato virtuale.
E in questo contesto non avrebbe più senso scrivere lettere.
Forse assistiamo al definitivo tramonto dell'Occidente.
Come ne usciremo?
martedì 2 gennaio 2018
La mia spiegazione del “velo” - NAPOLI VELATA di Ferzan Ozpetek
Il
regista turco torna al meglio della sua ispirazione iniziale, non intaccata da
tanto successo nel frattempo ottenuto. Napoli
velata è un’opera esteticamente significativa nel rappresentare il meglio
della napoletanità, capace di farsi universale anche oltre il tempo storico grazie,
tra l’altro, ai molti scenari della città, tra cui spicca il Museo
Archeologico.
Ma
il film di Ferzan
Ozpetek è importante e nuovo per l’apertura esoterica in esso
presente, in termini di possibilità di letture molteplici della realtà, di
energie spirituali che a vario titolo si intrecciano nei rapporti tra i
personaggi. è insomma un film magico, opera aperta e “folle” in un senso
anche inquietante ma in questo caso molto profondo, dà risposte significative
sulle cose belle e anche brutte della vita, sempre con vitalità e poesia.
Si tratta
anche di uno svelamento del “velo”, cui allude il titolo, gergalmente
attribuito, di solito, a gay repressi che non si accettino e perciò chiamati “velate”.
Qui invece è piuttosto la ricerca di una verità tanto ulteriore quanto
primigenia, che forse alla fine non si troverà mai. Detto questo, i comportamenti
disinvolti della protagonista, che va di avventura in avventura, sono più
consoni allo stile di vita promiscuo del mondo omosessuale che non a quelli di
una donna, per cui non si capisce perché non si sia scelto direttamente al suo
posto un personaggio maschile.
Vero è che la
dottoressa Adriana è clinicamente descritta con coerenza nel film. Ma sembra più
un gay che una donna, sia pure fuori degli stereotipi convenzionali della
femminilità.
Il finale è
aperto e non lo si può svelare, perché è giusto che ogni spettatore si faccia
liberamente una propria idea.
Mi limito
soltanto a dire che, personalmente, credo a queste forze teurgiche che hanno
attraversato l’arte e la letteratura già fin dagli antichi autori pagani, quindi
per me la soluzione dell’intreccio è decisamente su questa linea. è quella che mi convince di più – lo spettatore
saprà, dopo aver visto il film, a cosa mi riferisco -, senz’altro la più
affascinante.
Va segnalata la
superba bravura di Maria Luisa Santella, imprevedibile ed emozionante come
sempre.
Peppe Barra
offre uno spettacolo godibilissimo e, non in ultimo luogo, sono rilevanti naturalmente
Giovanna Mezzogiorno, Lina Sastri, Anna Bonaiuto e Alessandro Borghi nei panni,
o senza, dell’ambiguo Andrea.
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