martedì 5 aprile 2016

Homuncionem lepidissimum!

Umile e ingrata fu, all’inizio, l’attività pratica cui si dedicò Quinto Orazio Flacco, appena arrivato a Roma. Più tardi si sarebbe rifiutato di fare il segretario del principe, che scherzosamente lo soprannominava “membro purissimo”, purissimum penem, secondo quanto racconta Svetonio, o tutt’al più “lepidissimo ometto”, homuncionem lepidissimum. Era un ometto ridicolo, piccolo e obeso. Di modesta estrazione sociale, faceva lo scriba quaestorius per sopravvivere. E nient’altro sembrava avere importanza attraverso quell’impiego nell’amministrazione del fisco, ottenuto dietro l’interessamento di Asinio Pollione: un lavoro come ogni altro, del resto, e lontano dalla letteratura. Nemmeno aveva abbandonato quest’ultima, dopo essere stato ad Atene, nonostante l’audax paupertas e, si direbbe, proprio grazie a quella. Il futuro sarebbe stato illecito sapere - scire nefas! – e, proprio in questo periodo, maturò la conversione definitiva all’epicureismo, rivissuto alla sua maniera, del tutto personale, con influssi lucreziani (cfr. Sermones I, 3 ma anche I 2 e I 8).





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