Se
è impossibile analizzare dal punto di vista dinamico gli account di Facebook,
perché mancano le emozioni, i gesti, ecc., e poi si possono artare nel senso
della rappresentazione volontaria (ma è coglibile forse qualcosa in questa
operazione di artificio), si potrebbe invece applicare l’analisi patografica di
Jaspers. Solo che, anche in questo caso, non c’è tutta la vita. Pur
considerandoli dei documenti, gli account sono dei monumenti, e in
qualche caso interessante questo va benissimo. Bisogna sempre vedere che cosa
ci si mette nel monumento, e di chi è. Andare dall'account alla persona reale
fa paura, le persone hanno paura di questo. Ma secondo la storiografia più
avanzata - o, meglio, spesso dal punto di vista cronachistico, e non dei più
coinvolgenti: anzi, respingenti - ogni documento è un monumento, come dato di
fatto (riguardo a quello che è, e che non può essere altro anche se può
rimandare ad altro), o vogliamo dire vetrina, scelta situazionistica, e così
via, ma parlare di oggettività, nella fattispecie, è impossibile. Gli
account di Facebook, fenomeno nuovo e da studiare, non sono persone, non ci
sono emozioni. Si possono provare emozioni e anche trasmetterle (basta leggere
una poesia e il gioco è fatto) ma non sono derivabili dalla presenza fisica. L’emozione
in questo senso non passa, l’inconscio sì.
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