L’intrinseca sacralità
per legge della persona di Augusto, in quanto interprete indiscutibile della
volontà degli dèi, risale alla tradizione leggendaria che vedeva in Romolo il
detentore supremo di tale carisma («Nomen
meum senatus consulto inclusum est in saliare carmen, et sacrosanctus in
perpetuum ut essem et, quoad viverem, tribunicia potestas mihi esset, per legem
sanctum est» August., Res gestae Divi
Augusti, 10). Nonostante l’abile strategia populista impiegata nella
fondazione della “repubblica apparente”, il principato augusteo ha in sé i
limiti della sua stessa struttura, individuabili in primo luogo nel potere
autocratico, al di fuori del controllo di qualsiasi altro organismo esterno e,
di conseguenza, in un vacillante equilibrio nei rapporti col senato, di fatto
esautorato di ogni funzione tranne quella della fronda e dell’adulazione, sia
pure rispettato nella forma (non nella sostanza). Poi la propaganda di governo
imposta agli intellettuali sarà tutta una serie di crack, come ha scritto recentemente
Luca Canali: «la restaurazione etica fallì nella stessa famiglia imperiale;
alla religione degli avi nessuno credeva più, se non come alla necessità di un
governo che poggiasse anche sulle colonne dei templi; le dottrine filosofiche
si perpetuavano iterando la loro esaustione paradossalmente significata dal
prefisso νέος con cui tentavano di vitalizzarsi»[i]. Il conflitto latente col
senato, che era esploso alle idi di marzo del 44 per l’incuria di Cesare di
occuparsi degli avversari, è tuttavia magistralmente tenuto a freno insieme ai
rigurgiti repubblicani; l’antagonismo tra ordine senatorio e ordine equestre mina
la pax dalle fondamenta ma l’Italia,
con circa cinque milioni di cives Romani,
continua a godere di una supremazia forzata a dispetto dei ben sessanta milioni
di provinciali che popolano l’impero. Tutta questa imponente opera di
latinizzazione è stata realizzata dal III al I sec. a.C., periodo nel quale il populus Romanus è diventato un vero e
proprio populus imperator. Il suo è
un primato sia politico che economico dal momento che vengono accresciuti e
stabilizzati sotto Augusto i privilegi di carattere giuridico e sociale, in un
benessere economico che i secoli successivi non conosceranno più. È anche da
questo preciso momento che la cultura latina è in grado di affrancarsi del
tutto dalla subalternità al modello greco lungamente patito e contrastato con
risultati sempre più convincenti fino all’età di Cesare, fondendo e
trasmettendo fino a noi l’elemento
greco-ellenistico nella nozione di classicità tuttora egemone.
[i]
L. Canali, Identikit dei padri
antichi. Sedici scrittori latini e cristiani, Roma, manifestolibri, 2010,
p. 71.
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