domenica 2 ottobre 2011

Alessandro Manzoni



La vita
Alessandro Manzoni nasce il 7 marzo 1785 a Milano, da Pietro Manzoni (padre putativo, quello vero essendo probabilmente Giovanni Verri) e da donna Giulia Beccaria, figlia del celebre marchese illuminista Cesare Beccaria, autore del trattato Dei delitti e delle pene. Dopo la separazione dei genitori viene mandato dalla madre nel collegio gestito dai padri somaschi in Brianza e successivamente dai barnabiti a Milano. Tutta la sua adolescenza sarà contrassegnata da tali tetri educatori, che tuttavia lo iniziarono alla cultura classica, alla conoscenza degli autori latini tra i quali in primo luogo Virgilio, nonché di Dante e di Parini. «Il Manzoni ha avuto tragici rapporti coi genitori, specie con la madre (cosa che l’ha costretto, tra l’altro, a passare lunghi anni in collegio). È semplice per noi posteri, lettori di Freud, analizzare la conseguente nevrosi che è caratterizzata dall’eterna forma di complesso nei riguardi del sesso femminile (le vertigini che egli provava, solo se seduto su una sedia isolata, ne sono un sintomo “da laboratorio”): ciò non poteva che portarlo a una cristallizzazione della femminilità, condizione senza la quale sarebbe stato impossibile per lui pensare al rapporto sessuale. […] La vita sessuale – dice Freud – non è un fiume che scorre sul suo letto, ma è un rivolo di liquido vischioso, pieno di rami, pozzanghere, e solo faticosamente il suo corso principale giunge al proprio sbocco.
«L’omosessualità di Manzoni era evidentemente uno di questi corsi secondari, di queste pozzanghere: ma è sotto il suo segno che si svolge tutto il fitto intreccio di rapporti dei personaggi dei Promessi sposi» (Pier Paolo Pasolini, Descrizioni di descrizioni).
A Milano entra in contatto con Vincenzo Monti, riconoscendo in lui un vero e proprio ruolo paterno, dedicandogli anche alcuni versi. Terminati gli studi trascorre qualche tempo nella casa paterna, frequentando circoli dove conosce Ugo Foscolo, Vincenzo Cuoco e Francesco Lomonaco.
In seguito, coltiva un interesse per la storia e per la letteratura componendo testi di stampo neoclassico, poi viene mandato a Venezia per essere sottratto all’influsso della Milano napoleonica. Nello stesso tempo muore Carlo Imbonati, amante della madre. Manzoni per invito di Giulia si reca a Parigi dove scrive il suo primo testo di rilevo, il carme In morte di Carlo Imbonati.
Da questo momento, inizia a dedicarsi a un programma di vita legato a un’etica laica di alto profilo morale, che egli non rinnegherà neanche dopo la discussa conversione: «il Carme si annunzia come un programma limitato sibi et paucis: con l’implicito riconoscimento, ancora più categorico che storico, della frattura insormontabile che da sempre condannava l’intellettuale italiano ad una sorta di perpetua alienazione nei confronti del proprio retroterra “popolare”.
«E intanto ne restava stimolata, a livello esistenziale, una nativa asocialità, che si può riempire di motivazioni culturali e psicanalitiche di più larga estensione (dal rousseauvismo all’agorafobia), ma che per l’appunto negli anni che vanno dal Carme alla conversione resta in evidenza anche come nodo traumatico di un oggettivo vuoto generazionale, confermato da molte biografie parallele, nel trionfo della retorica napoleonica e nel restringersi d’ogni alternativa» (Giancarlo Mazzacurati, Per un diaframma tardo-illuministico: Manzoni tra il Carme in morte di C. Imbonati e l’Urania, in Forma & ideologia).
A Parigi frequenta i salotti intellettuali dopo aver ricevuto un’educazione cattolica rigida ma, particolare spesso dimenticato, con idee illuministiche. Che il cattolicesimo in sede culturale e letteraria debba essere sfrondato anche da un pregiudizio laicista, peraltro legittimato purtroppo da una bieca tradizione scolastico-provinciale che tuttora agisce, è d’altra parte una necessità manifestata da una riflessione critica ulteriore, a partire proprio dal “laico in tutti i sensi” che fu Manzoni. «Fu inoltre considerato padre inetto e incapace di indirizzare a una professione i figli, - ha scritto Salvatore Silvano Nigro - che si indebitarono e lo indebitarono. Cattolico per nulla filisteo, e anzi “laico in tutti i sensi” e sostenitore – nella seconda parte delle Osservazioni sulla morale cattolica - della compatibilità della religione cattolica con lo spirito del secolo da dirigere e da correggere, fu contrario al temporalismo del corpo giuridico della Chiesa: difatti, tra la scandalizzata protesta dei cattolici intransigenti, non esitò in qualità di senatore del regno d’Italia a votare in favore del trasferimento della capitale da Torino a Firenze, come tappa intermedia verso la predestinata Roma, né ad accettare nel 1872 – nello spirito della legge delle Guarentigie fondata sul principio della separazione tra Stato e Chiesa – la cittadinanza onoraria offertagli dal comune di Roma.»
Alessandro incontra così la dimensione religiosa, conosce la donna che rivestirà un ruolo importante nella sua vita coniugale: Enrichetta Blondel. In questo stesso periodo, durante il matrimonio di Napoleone con Maria Luisa d’Austria, tra la folla perde la moglie e si va a rifugiare nella chiesa di S. Rocco pregando affinché Enrichetta ritorni; quando la ritrova, si attribuisce proprio a questo episodio la conversione al cattolicesimo ma in realtà fu semmai un ritorno alla fede. Comincia ora la sua maturità artistica e grazie alla cospicua eredità lasciatagli dal padre e da Carlo Imbonati fissa la sua dimora a Milano.
Nel 1819 la famiglia Manzoni si trasferisce di nuovo per un determinato periodo a Parigi dove lo scrittore incontrerà molti personaggi da cui prenderà ispirazione per le sue opere. 

Il pensiero e la poetica: il vero come soggetto, l’interessante come mezzo, l’utile come scopo.
Di non trascurabile importanza sono le due tragedie, Il conte di Carmagnola (1819) e Adelchi (1822).
Nella Lettre à M. Chauvet sur l’unité de temps et de lieu dans la tragédie del 1820, l’autore si era effuso nella propria riflessione teorica che diventava un manifesto di poetica, rifiutando la convenzione della tragedia greca che pretendeva unità di tempo, luogo e azione. Ugualmente, la poesia civile e patriottica presente nelle odi Il Cinque Maggio, dedicata alla morte di Napoleone, e Marzo 1821 rappresentano momenti significativi della sua produzione in versi,  anche se presto scoprirà che la vena poetica è insoddisfacente a esprimere più compiutamente la propria visione della vita e della storia.
Ritiene che l’opera letteraria debba avere il vero come soggetto. La letteratura deve basarsi sia sul vero storico sia sul vero della fede. Un’opera letteraria deve essere costituita dal vero che coincida col vero storico ma anche con la verità cristiana e bisogna che l’interessante sia soltanto un mezzo per raggiungere uno scopo con valore morale nonché educativo, chiamato utile. Manzoni è lontano dal Romanticismo sentimentale affermando che non si deve scrivere d’amore in modo passionale: bisogna sostenere una poesia fondata sulla riflessione, tanto quanto sull’immaginazione e sul sentimento, il suo pensiero prende posizione insomma a favore di un Romanticismo cattolico, realistico e oggettivo che unifichi ragione e cuore. Lo scrittore lombardo considera la fede superiore sia al sentimento sia alla riflessione e crede che, nel dono soprannaturale che permette di credere in Dio, le due facoltà umane trovino il loro punto d’incontro e il loro completamento.

La Pentecoste
La Pentecoste (1822) è l'ultimo componimento degli Inni sacri, progetto che prevedeva la celebrazione delle principali feste liturgiche. In esso è descritta la vita della chiesa prima della discesa dello Spirito Santo quando i discepoli, timorosi per la morte del Redentore, vivevano appartati nel cenacolo per paura di essere uccisi.
Nelle cinque strofe iniziali che costituiscono la prima parte dell’inno, Manzoni si chiede dov’era la chiesa quando Cristo fu portato dai malvagi sul colle Golgota e dov’era quando questi, resuscitato, salì alla destra del Padre. La chiesa era sola, preoccupata e intimorita e rimase rinchiusa nel cenacolo fino a quando discese lo Spirito che accese la fiaccola inconsumabile della fede e aprì la sorgente della parola. Nella seconda parte dell’inno sono descritti i primi effetti della predicazione dello Spirito. Egli è come la luce che pur essendo una, suscita vari colori e così lo Spirito Santo pur essendo uno, risuona molteplice e tutti lo possono ascoltare. Manzoni si rivolge ai pagani, esortandoli a guardare verso Gerusalemme e invita le donne che stanno per partorire a non rivolgere le preghiere alla falsa Giunone, affinché, viceversa, il loro bambino nasca cristianamente consacrato. Si chiede poi perché la schiava continui ancora a sospirare guardando i propri pargoli, non sa che Cristo sulla Croce pensò a tutti i figli di Eva? Lo Spirito è innovatore. I cieli annunciano nuove conquiste e una nuova pace, che il mondo può schernire ma non turbare. 
Nella terza e ultima parte dell’inno non più Manzoni, ma l’intera umanità si rivolge al Paraclito, si invoca per tutti, credenti e increduli, la sua assistenza continua.
I popoli, anche se sparsi per tutte le coste, sono una sola cosa per la paternità comune e il poeta prega lo Spirito Santo di essere benevolo e favorevole non solo ai credenti, ma soprattutto agli increduli usando la seguente similitudine:
“Siccome il sol che schiude / Dal pigro germe il fior; // Che lento poi sull’umili / Erbe morrà non colto, / Né sorgerà coi fulgidi / Color del lembo sciolto, / Se fuso a lui nell’etere / Non tornerà quel mite / Lume, dator di vite, / E in faticato altar”: come il sole fa sbocciare il fiore che se non è colto muore, né sorgerà con gli splendidi colori della corolla aperta, se la luce del sole non giungerà a lui, così lo Spirito ci dona pensieri di cui il nostro animo non si possa pentire. Manzoni implora che il povero volga lo sguardo al cielo e i suoi lamenti si trasformino in gioia e che il ricco dia una parte di ciò che possiede con vergogna. Indica i doni dello Spirito Santo in ogni età, lo implora di raffrenare l'animo confidente dei giovani, di dirigere i propositi degli uomini maturi e di aiutare i vecchi a pensare in modo santo e lieto.

Il romanzo
Tornato a Milano e affermando che la poesia non fa per lui si dedica al romanzo Fermo e Lucia (1823), un primo abbozzo del capolavoro in prosa. «Il romanzo cristiano del Manzoni è infinitamente problematico, progettato nella dimensione della modernità ma con accenti, figure, situazioni che qualche volta forse non abbiamo ancora intimamente percepite o che abbiamo per così dire attenuato.» (Salvatore Silvano Nigro)
Nel 1827 pubblica la seconda stesura col titolo Gli sposi promessi (la cosiddetta “ventisettana”). Volendo la perfezione per la sua opera, non si limita a revisionarla, ma la riscrive completamente soprattutto curando il punto di vista linguistico mediante la famosa risciacquatura dei panni in Arno.
Nel 1833 viene colpito da alcuni lutti. Proprio nel giorno di Natale muore la moglie, alla quale dedica uno tra i più belli degli Inni: Il Natale 1833 (che rimane incompiuto).
In seguito, muoiono le figlie Giulia, Cristina e Sofia.
Dopo questo periodo di sofferenza trova tuttavia la forza di pubblicare l’edizione riveduta e definitiva de I promessi sposi (1840, la “quarantana”): «Il maestro del Fermo e Lucia, come si chiamerebbe se fosse un antico pittore anagraficamente sconosciuto, era distinto, ma non inferiore, da quello dei Promessi sposi del 1827, e questo da quello del 1840: sono personalità espressive differenziate come, forse più propriamente, si dice di Tiziano giovane e di Tiziano vecchio. […] Importa intendere che l’edizione del ’27, anzi già il Fermo e Lucia, e l’edizione del ’40 sono altrettanti libri, da riempir bene, come riempirono, la vita del loro autore.» (Gianfranco Contini)

Gli ultimi anni
Si sposa per la seconda volta con Teresa Borri vedova Stampa. Proseguono i lutti, muore la figlia Matilde, la stessa seconda moglie e il figlio Filippo. Quando viene proclamata l’unità d’Italia Manzoni è dunque nominato senatore.
Confortato dalla fede per i suoi gravi dolori, prosegue il proprio lavoro di scrittore consapevole di aver perso la vena creativa ma evidenziando il buon gusto di non insistere, dedicandosi solo agli studi di carattere storico e linguistico. Muore a Milano nel 1873.
«Ferito da una rovinosa caduta accanto alla sua chiesa, il Manzoni non morì, il 22 maggio 1873, nella sua casa, se non dopo un’atroce agonia, durante la quale gli fu risparmiato di accorgersi che il suo figlio maggiore, il fedele Pietro, l’aveva preceduto.» (Gianfranco Contini). 
Nel 1874, Verdi dedicherà la sua Messa di requiem ad Alessandro Manzoni.

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