La "vita al
di fuori dell'opera", che per alcuni esteti decadenti coincideva con
l'arte - essendo per loro la vita un'opera d'arte, - si pone su una base
equivoca. Perciò ad esempio l'opera di Wilde è stata tutt'altro che mediocre,
la sua pagina è il riflesso di quella, e quindi è decadente: da integrare col
mito. Invece d'Annunzio è il primo scrittore italiano a costruire la vasta
macchina decadente riuscendo a essere più unitario (nel rapporto vita/arte) di
quanto non sia stato Wilde. Ma i due elementi
dialogano tra loro, la vita vissuta fuori della pagina non rientra nella
creazione artistica. Mi pare di cogliere un'assonanza con questo discorso nella
seguente, appropriata interpretazione del mito di Orfeo:
«Il poeta è un asceta della finzione,
perché la finzione è mascheramento della verità nell'immanenza.
Mi sono interrogato a lungo sulla vicenda di Orfeo ed Euridice, convincendomi
che Orfeo non si voltò a causa del desiderio di vedere Euridice: si voltò
perché aveva sbagliato strada. La poesia, infatti, misura sempre lo stesso
luogo e allo stesso fa ritorno. Poco importa se questo significa perdere per
sempre Euridice, cioè la vita stessa che scambiamo per la ragione del nostro
viaggio. Orfeo non poteva procedere, semplicemente. Questo è tutto.
La poesia non è vita, la poesia è camminare rimanendo fermi mentre tutto il
mondo scorre via nei pressi del poeta. Mentre comprende -letterale - che la
poesia è male incurabile e cura, perdizione - letterale- ed esorcismo.
Solo chi ha visto per caso sparire Euridice può ben per calcolo sparire alla
Madonna» (Andrea
Rossetti, Sono sparito alla Madonna.
Scritti sul mio teatro, prefazione di Stefano Giovanardi, Torino, Marco
Valerio Editore, p. 63)
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