Pio XIII, Lenny Belardo, interpretato
con camaleontica bravura da Jude Law nella serie-tv The Young Pope di Paolo Sorrentino, fuma, è giovane e bellissimo,
non vuole apparire in pubblico, tutte anomalie in sintonia con una geniale
rielaborazione teologico-filosofica del nietzscheano “ultimo papa”.
È conservatore più del precedente
omonimo, Pacelli; più simile a un imperatore bizantino nella fissa
rappresentazione di sé che non a Paolo VI nell’augusta ieraticità della forma;
sportivo e dinamico più di Wojtyla; chiuso a ogni minimo cambiamento e ostile
all’omosessualità, che confonde con la pedofilia, assai più di Benedetto XVI;
culturalmente più sofisticato di Bergoglio. Pronto dunque a una guerra che alla
fine lascerebbe sul campo, e ne è consapevole, i due terzi del clero.
Afferma che tutti i candidati al
sacerdozio fanno voto di castità e nessuno lo rispetta. È colui che ammette che
non potrà mai amare il prossimo suo come se stesso; di non essere profondo, ma
solo presuntuoso. Non è affatto caritatevole: non importa chi venga a bussare
alla sua porta perché non c’è niente al di fuori dell’obbedienza a Pio XIII.
Belardo insomma non crede in Dio,
secondo lui quelli che credono in Dio non credono in niente.
È capo di una sorta di chiesa
klossowskiana, fondata sulla netta distinzione tra ordine temporale e ordine
della Grazia, capaci di contraddirsi nell’avvicendarsi dei reciproci simulacri,
in una dismisura per più di un aspetto anticristica.
Ma neppure questa interpretazione basta
più. Pio XIII infine decide di far vedere il suo volto per la prima volta a
Venezia. La sua omelia in quella importante prima circostanza è piena di
domande antinomiche: siamo morti o siamo vivi? siamo vecchi o siamo giovani? ci
siamo persi o ci siamo trovati? Dio sorride. E lì, davanti alla folla che
finalmente lo vede e, entusiasta, lo acclama, colto da un malore, muore, in
piazza San Marco, all’improvviso: chiaro riferimento ad Albino Luciani, che di
Venezia era stato patriarca, sottratto al mondo dopo un brevissimo pontificato,
magis ostentus quam datus.
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