Non è irrealistico, benché efficace sul piano metaforico entro determinati limiti concettuali, paragonare il regime rumeno di Nicolae Ceausescu a una monarchia assoluta di stampo orientale tra quante si configurarono in età alessandrina, sia pure ammantata di una verniciatura autoritaria di tipo socialista. Più esatto sarebbe definirlo una diarchia, visto il ruolo sempre più indiscutibile che venne man mano assumendo la moglie Elena. Ma naturalmente la differenza con gli antichi regni ellenistici, oltreché evidentemente epocale, consiste nel fatto che almeno i cittadini decaduti al rango di sudditi dopo la morte di Alessandro Magno conobbero progresso e relativo benessere materiale, il che non si può in alcun modo affermare specialmente degli ultimi anni della dittatura comunista in Romania. Fatta questa premessa, le vicende della Brexit[1] di questi ultimi tempi inevitabilmente hanno a che fare con nuovi equilibri geopolitici che si vanno costituendo o sono in via di ricostituirsi, non soltanto per l’Europa. La situazione internazionale si è trasformata radicalmente per la prima volta a partire proprio da quel 1989, quando crollò il muro di Berlino: un vero anno-sineddoche, dopo il quale il mondo non è più stato lo stesso.
Certo, se il suddito antico si
disinteressava ormai alla vita politica, proprio questo distacco,
caratterizzato da quello che con parola odierna chiameremmo “antipolitica”, paradossalmente
finiva per restituire una sensazione di vitalità democratica e di libertà
nonostante tutto, anche in termini cultural-cosmopolitici, livellando sullo
stesso piano tutti gli abitanti del mondo greco e non greco. Il 1989 è stato
invece un anno cruciale e preludio della successiva disfatta di due anni dopo,
nel 1991, dell'Unione Sovietica. Queste due date, 1989 e 1991, hanno aperto la
strada al famigerato Stato unico mondiale[2]
quale soprattutto verrà a delinearsi in seguito agli attentati terroristici
dell'11 settembre 2001. “A provare inequivocabilmente che la Russia di Putin
deve essere geopoliticamente appoggiata -, ha scritto Diego Fusaro, riferendosi
più strettamente alla situazione odierna - è non solo l’odio diplomatico e
mediatico del circo giornalistico e intellettuale occidentale – cassa di
risonanza del potere neocapitalistico e finanziario -, ma anche il
moltiplicarsi delle basi americane in Romania e in Ungheria, nonché la speranza
occidentalistica di incorporare nella Nato l’Ucraina, destabilizzandola nel
2014 tramite una ‘rivoluzione colorata’ gestita dalla potenza americana e, in
subordine, dall’Unione Europea.”[3]
Per avere un’idea degli intricati antefatti, ecco
la dichiarazione del generale Nicolae Militaru - spia sovietica - rilasciata
alla giornalista Adina Anghelescu nel 1991: “C'erano quattro diverse possibilità
per rovesciare Ceausescu. La prima prevedeva che il piano fosse posto in atto
quando Ceausescu e la moglie si fossero trovati all'estero; la seconda
prevedeva di agire quando i due, benché in Romania, fossero stati parecchio
lontani da Bucarest; la terza quando si fossero trovati occupati al lavoro; la
quarta quando fossero stati impegnati al Comitato politico esecutivo.”[4]
La decisione di far fuori Ceausescu era
stata presa da Gorbaciov, non senza l’accordo con George Bush, già dal 1987 in
seguito alla sua opera di decomunistizzazione dei paesi appartenenti al Patto
di Varsavia avviata con la perestrojka,
a cominciare dalla stessa Unione Sovietica. A dispetto dei consigli del
fratello Ilie Ceausescu per una linea diplomatica e non ostile ai russi, l’errore
fu chiudersi in una posizione di intransigente fedeltà al socialismo,
nell’illusione di ripetere l’autonomia rumena orgogliosamente proclamata nel
1968, all’epoca dell’aggressione sovietica della Cecoslovacchia, quando il
popolo gli era stato favorevole. Non
erano più quei tempi. Fu esecrabile il modo in cui, dopo l’incredibile fuga in
elicottero dalla sede del Comitato Centrale, i due dittatori furono abbandonati
sulla strada. Nessun abitante della zona volle soccorrerli, dar loro
ospitalità. Nessuno più obbediva agli ordini del Conducator. Alla fine della sentenza di condanna a morte
di Nicolae e Elena Ceausescu c'era scritto: “Con diritto di ricorso”, diritto
che però fu fatto in modo che non si esercitasse. Il processo di Targoviste fu
sommario, l'esecuzione selvaggia. È stata chiesta la revisione di quel processo
che, ha ragione il genero del dittatore, Mircea Oprean, fu una vergogna. Anche
perché il massacro di Timisoara fu una menzogna: i morti furono disseppelliti
da un cimitero affinché si desse la sensazione del genocidio perpetrato dal
regime.
[1] “Brexit non è una
barbarie ma certo è un grosso trauma che potrebbe ripetersi ovunque. È la
rivolta contro le politiche di austerità, è il ributtare in faccia a Renzi
l'elemosina degli ottanta euro con i quali pensava di aver comprato consensi e
voti, è dire basta all'immigrazione non più compatibile. [...] Ma resto
ottimista. Perché Albione sarà anche perfida, ma è grazie a lei se già più di
una volta nella storia d'Europa si è salvata da guai ben peggiori della brutta
stagione che stiamo vivendo.”
(Alessandro Sallusti, “il Giornale”, 25 giugno 2016).
[2]
Cfr. a questo proposito Massimo Fini, Il vizio oscuro dell’Occidente. Manifesto
dell’Antimodernità, Venezia, Marsilio, 20045, p. 9
[3]
Diego Fusaro, Il futuro è nostro. Filosofia dell’azione, Milano, Bompiani, 2014, p.
469.
[4] Grigore Cristianu Cartianu, La fine dei Ceausescu. Morire ammazzati come bestie selvatiche,
trad. it. di Luca Bistolfi, Reggio Emilia, 2012, p. 50.
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