Ho assistito presso
il duomo di Caserta alla lectio
magistralis di Massimo Cacciari Pensare
l’eterno, per cui in definitiva l’eterno è totalmente degli enti e dei
tempi non contingenti ma in sé eterni proprio come questi enti che siamo e
questi tempi. Provo qui aionicamente, per così dire e sia pure brevemente
(tralasciando irresistibili provocazioni che non riporto in questa sede, come
ad es. la discussa paternità platonica del X libro della Repubblica, o una sottile polemica che ho colto col pensiero debole) a tracciare qualche mia minima sintesi, almeno stando a quel
che ho capito io.
Partendo dal presupposto che la vita
aionica (qui si fa riferimento ovviamente alla classica dicotomia αἰών/χρόνος)
è così piena e così vita da apparire opposta al mortale e che nel divenire per
definizione non può esserci alcuna immortalità – l’eternità essendo la vita
perfetta in sé, e il paradiso regnum
perpetuae libertatis (Tommaso, ma cfr. anche Plotino, Boezio) e aeternitas tota simul (Tommaso) -
l’eternità, da non confondersi con l’infinità, è compresenza di tutti i tempi e
di tutti i mondi. Ma, questo l’ho trovato entusiasmante proprio nel senso
etimologico, l’eterno vuole l’eternità dell’ente stesso, dunque quei tempi e
quei mondi non sono contingenti. Detto in termini non filosofici, il Signore
non vuole l’ente mortale. Anzi, l’ente è in sé immortale (cfr. il grande
pensiero idealistico), o l’eternità del mio atto di pensare, che in sé è
eterno, mai cessa, sempre è (attualismo di Gentile, l’eternità appunto come
atto di pensiero). Quindi si può parlare dell’indisgiungibilità – non di
indistinguibilità – dell’Eterno con l’eternità dell’essente. Tutti gli esseri
di tutti i tempi sono nell’eterno: ma in quanto eterni (aionici). Pensare
l’eterno significa pensare noi stessi in questa chiave di immortalità.
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