venerdì 13 gennaio 2012

HA VINTO IL TOTALITARISMO FASCIOCOMUNISTA: ECCO PERCHE' SE GLI ITALIANI NON PARLANO DI POLITICA NON PARLANO DI NIENTE.




Se Leopardi fosse invitato in un talk show italiano e cominciasse a parlare dell’infinito, gli chiederebbero se con l’ermo colle si riferisce a Giorgio Napolitano e cosa pensa del governo Monti. Quando Bret Easton Ellis è venuto in Italia a presentare il suo ultimo romanzo, Antonio Scurati, che lo intervistava, gli chiese cosa pensava di Berlusconi.
Insomma, se c’è qualcuno che ha vinto l’egemonia culturale in Italia sono stati i marxisti, ma non solo: anche il fascismo, rovescio della stessa medaglia al valore civile. La cultura di sinistra, la cultura di destra, in mezzo il nulla, al massimo della neutralità da conversazione un criminologo e un sociologo che discutono di Avetrana. La politica e la società come totalitarismo del pensiero, infatti i giornalisti passano per scrittori e gli scrittori o sono giornalisti o non sono niente. Siamo il paese dell’impara l’arte e mettila da parte, e cioè un ferro da stiro va bene, il ferro da stiro con chiodi di Man Ray a che serve? 
E così da noi ogni controcultura è sempre stata di sinistra o di destra, non si è mai visto un centro sociale riconoscersi in Joyce o Proust. E caduta la dittatura mussoliniana, abbiamo tirato avanti per decenni con la dialettica fascismo vs antifascismo, sostituendola con quella global vs no-global, e subito dopo con quella berlusconismo vs antiberlusconismo, e adesso siamo in fase di assestamento, bisogna solo aspettare di tracciare il nuovo centrocampo, la nuova linea di separazione tra buoni e cattivi, e saremo pronti a ricominciare.
Non per altro da noi non regge nessun tema non politicizzabile a lungo termine, dalle cellule staminali al nucleare, dalle coppie di fatto all’eutanasia, dalla nascita alla morte: o si riesce a incasellarli in indiani e cow-boys, oppure non appassionano, e a parte Leopardi figuriamoci dove sarebbe mai potuto andare un Richard Dawkins in Italia a parlare del suo ultimo saggio sull’evoluzionismo che ha fatto il giro del talk show americani, forse da Benedetta Parodi se accettava di parlare dell’evoluzione di una carbonara.
I palinsesti televisivi sono tali e quali ai carteggi della cricca intellettuale dell’Einaudi dopo il secondo dopoguerra: perfino per Calvino e Pavese i libri non erano belli o brutti, erano portatori di valori di antifascisti oppure da scartare, e si scartò perfino Nietzsche, troppo superuomo.
E poi ci si domanda, retoricamente, perché De Gasperi lasciò a Togliatti la gestione della cultura: a noi il potere, a voi la cultura. Tanto era uguale, perché la cultura, appaltata al PCI, aveva per centro la lotta politica, quindi di nuovo la DC o peggio, il discorso sul potere. È per questo che ancora oggi si tira fuori il santino di Pasolini come un illuminato che, scrivendo “io so”, sapeva tutto e aveva previsto tutto: non ci siamo mai mossi da lì.
Io ogni tanto provo a aggrapparmi a Aldo Busi, uno dei pochi scrittori italiani a aver scritto romanzi veramente importanti, ma anche lui parla solo di società civile, dell’onestà, del governo in carica, come se fosse Beppe Grillo. Ho provato anche a chiederlo a Alberto Arbasino, ma la risposta, in sintesi, è stata che ha già dato. Ho provato a chiederlo a Antonio Moresco ma non l’ho trovato a casa, era impegnato a organizzare una marcia da Milano a Napoli per salvare l’Italia da Berlusconi e dalla cattiveria politica.
In definitiva ha vinto la cultura gramsciana dell’intellettuale organico, ossia che l’intellettuale debba occuparsi di politica, altrimenti è disimpegnato. Come gli uomini e no di Vittorini. Ha vinto l’idea che non ci sia tema importante culturalmente che non abbia al centro la politica, un problema sociale, uno scandalo giudiziario, un diritto civile, e senza più dissoluzione di continuità linguistica tra il discorso istituzionale e il discorso popolare. Il governo Monti è solo uno stand-by tecnico, infatti si esprimono come software, e i leghisti sono diventati di colpo cafoni perché parlano come parlavano tutti prima.
Ha vinto l’idea totalitaria che qualsiasi aspetto fondante dell’esistenza e dell’esperienza passi per la politica, rigorosamente declinata in chiave moralistica e barricadera. Qui perfino se venisse avvistato dalla NASA un asteroide in rotta verso la terra e della stessa dimensione di quello che causò l’estinzione dei dinosauri ci chiederemmo se è di destra o di sinistra o tecnico, altrimenti non sapremmo come prenderlo.
Ecco perché non c’è trasmissione dove si possa approfondire un romanzo o un saggio non improntato socialmente e politicamente, perché alle otto si danno le notizie di politica, alle otto e mezzo si approfondisce la politica, alle nove ci si ritrova in una piazza pulita politica, alle nove e un quarto si cerca guarda su Sky e Cielo un servizio pubblico politico, e quindi: i giovani, gli immigrati, la crisi, la cricca, la casta, gli onesti, i disonesti, l’Italia, l’Europa. Come ultima spiaggia resta L’Isola dei famosi, dove mon chéri Busi, il più grande scrittore italiano vivente eccetera, due anni fa voleva andare a fare la rivoluzione culturale. Ovviamente politica.

Massimiliano Parente per Il Giornale, 13 gennaio 2011



1 commento:

Mimmo Gallo ha detto...

Analisi lucidissima di un'amara realtà...