venerdì 30 settembre 2011

La condizione servile a Roma

L’humanitas caratterizzava il legame tipicamente romano tra servus, o mancipium, e dominus. Non sono rari i casi tramandati di fedeltà fino alla morte non solo del primo verso il secondo ma anche viceversa, fino all’identificazione totale del corpus dell’uno nel corpus dell’altro.
Esisteva tra i due un rapporto privilegiato, avulso da qualsiasi altra modalità consueta nella pratica delle relazioni sociali o nei legami affettivi più intimi. Questa situazione anomala contraddice il luogo comune che attribuisce allo schiavo romano, spesso liberto, condizioni di lavoro e di esistenza durissime se non addirittura disumane. In età giulio-claudia le favole di Fedro, prive dell’energia sufficiente per assurgere all’alta letteratura, risentono del deterioramento della condizione servile successiva ad Augusto. Non risulta nemmeno, iscrivendosi in un mos abbastanza consolidato, così umanitariamente innovativo il famoso passo di Seneca, peraltro nobile per l’energia con cui il filosofo denuncia l’arroganza usata da parte di alcuni, dove si legge: «”Servi sunt”. Immo homines. “Servi sunt”. Immo contubernales. “Servi sunt”. Immo humiles amici» (Epistulae ad Lucilium, 47). Seneca scriveva in un periodo storico nel quale si era andata progressivamente restaurando un’abitudine oppressiva nei confronti dei servi, umiliante in sé, ma che si configurava all’interno di una zona franca: il rendiconto immediato alla comunità dei domini, anche se il diritto contemplava la compravendita e la possibilità stessa della tortura.
Esisteva tra i due un vero e proprio vincolo affettivo. In quanto ultimo rifugio potenziale (e nonostante che la legge non lo considerasse soggetto giuridico ma lo trattasse come oggetto di scambio, non diversamente da altri beni materiali), il servus fin dall’inizio si collocava in una dimensione relazionale fondamentale ed esclusiva e, perciò, in un certo senso superiore a tutte le restanti forme di rapporto anche per quanto riguardava gli altri uomini liberi. Ed è vero che ogni servus era un potenziale liberto, e avrebbe potuto rendersi cittadino libero. Il dominus alimentava la speranza del riscatto futuro; che il servus a sua volta poi fosse fedele è dimostrato dal fatto che in una casa patrizia vivevano anche decine di schiavi, ognuno preposto a determinati compiti tra i più delicati dal momento che, se non fosse stato degno, o degna, nel caso della serva, di fiducia avrebbe potuto, ad es., avvelenare i cibi o tagliare la gola al dominus paradossalmente sottomesso per farsi radere. Non c’era nessuna circostanza della vita che fosse in grado di ridurre il cittadino libero a non poter contare nemmeno sul proprio schiavo.

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