La luce di Arthur Rimbaud
Non si capisce come mai i libri in prosa di Dario Bellezza
(1944-1996), che sono ben nove, non siano più stati ristampati mentre per
l’opera poetica ci sono state le pregevoli curatele di Elio Pecora per le Poesie 1971-1996 (Mondadori 2002) e di
Roberto Deidier per Tutte le poesie
(Mondadori 2015). Eppure ho riletto a distanza di anni il romanzo Angelo ed è stato un godimento letterario
dei più sopraffini grazie alla sua prosa sfarzosa, degna di stare accanto, per
derivazione, alla nostra migliore Scapigliatura, oltre che per la grandiosa
capacità di affabulare personaggi del mondo della letteratura in un complesso
gioco di rimandi e allusioni che solo chi sia addentro alle vicende di quei
protagonisti può cogliere e apprezzare fino in fondo nelle sottili sfumature
della storia narrata. Dario Bellezza era un purista della lingua e Angelo è un romanzo a suo modo leopardiano,
è stato un libro inattuale quando uscì presso Garzanti nel 1979, oggi resta un
classico. Lo lessi nei primi anni Ottanta, appartiene alla mia mitologia personale
che fu anche quella di un’intera generazione e ricordo che me lo portavo dietro
dappertutto, come fosse un oracolo da consultare o un breviario sacrale da cui
non avevo che da apprendere. Non ho usato a caso l’aggettivo “leopardiano”:
quel che in Pasolini è la “funzione Gramsci” diventa in lui la “funzione
Leopardi”, non c’è nessun impegno politico nel protagonista Tommaso, pur in
un’epoca caratterizzata da un’ideologia finanche prevaricatrice; non vi è che
amore e morte, i due grandi temi romantici della nostra tradizione letteraria.
E quando l’amore decade, non resta che girare intorno all’orbita della
famosissima scrittrice Elisa V., la Demiurga, colei che strega Tommaso, intrigata
a sua volta dall’ammirazione che il giovane nutre per lei. Lui la cerca per
telefono, Elisa sulle prime finge di non essere lei: “’Ma che cosa vuole da
questa Elisa? Qua telefonano solo scocciatori, e mai un angelo del Paradiso, un
immortale!’ … ‘Io sono la cameriera della signora Elisa’” (p. 15). In questa
fase iniziale «un angelo del Paradiso» sembra un modo di dire ma poi un
personaggio denominato proprio Angelo subentrerà nella vita di entrambi. Successivamente
si stabilisce un rapporto tra i due: «mi rivolsi infinite volte ad Elisa, e a
furia di bussare alla fine il suo grande cuore mi fu aperto» (p. 17). Sappiamo
tutti, o perlomeno chi è al corrente dei fatti, che Elisa V. è il senhal di Elsa Morante, magistralmente traslata
nelle ridondanze romantiche di questa trama passionale. Lei riuscì a bloccare
l’uscita del romanzo per due anni, ma qui è la Letteratura, qualcosa che fa
dimenticare le brutture dell’esistenza, la fantasia visionaria che alimenta
maternamente Tommaso. La loro frequentazione si interrompe presto, appena il
ragazzo, omosessuale avvolto nel vizio e mancante di vitalità, decide di
lasciare la casa paterna. Elisa non vuole aiutarlo in questo suo cammino verso
l’autonomia. Secondo lei, la scelta di Tommaso è borghese, come gli dirà
successivamente in un incontro casuale.
Tommaso ha ambizioni poetiche, è già un
poeta maledetto, consapevole della grande influenza della scrittrice sulle
menti giovanili. Quanto al forte ascendente che la Morante esercitava realmente
su quegli happy few e neo-critici, è
il caso di ricordare alcune parole di Elio Pecora contenute in un suo
esilarante libro proprio riguardo allo «stuolo di giovani e giovanissimi delle
più diverse estrazioni, tutti adoranti. Lo si vide chiaramente – scrive – quando
si levarono compatti contro Dario Bellezza che, esiliato da lei per torti mai
chiariti, le dichiarò guerra dalle pagine di “Paese Sera”» (Il libro degli amici, Neri Pozza 2017,
p. 62). Nel racconto di Tommaso non è subito chiara la ragione del dissidio, se
non quella attribuibile in maniera preconcetta alla “negatività” di Elisa. Ma tutta
una serie infernale di ragazzi contesi verrà a determinare la rottura
definitiva tra i due. Nei suoi vagabondaggi per la città eterna, a Campo dei
Fiori, Tommaso conosce Angelo, «sguardo fiero e bocca malinconica» (p. 46).
Costui pretende di essere uno scrittore affermato, in realtà è di fatto un
delinquente, con una storia di abbandoni familiari alle spalle, di droga, un
disadattato sociale, un folle. Millanta non solo di aver pubblicato due libri
di successo, ma pure di essere stato l’amante di Elisa. Allora Tommaso le invia
una lettera di insulti. La risposta di Elisa, riportata nel romanzo (pp.
69-70), non si fa attendere: non vorrà più vederlo, Tommaso è stato esiliato
senza appello. La verità è che il poeta sceglie di Elisa un’immagine
costantemente negativa, tra le tante possibili, come è spiegato nella lettera
di lei, che è poi la trascrizione pressoché integrale di quella che realmente
Elsa Morante indirizzò a Bellezza (cfr. L’amata.
Lettere di e a Elsa Morante, a cura di Daniele Morante con la
collaborazione di Giuliana Zagra, Einaudi 2012, pp. 538-539). Agli occhi di
Elisa forse Angelo «appariva come un angelo ribelle, un giovane poeta della
fortuna, estatica febbre, luce simile a quella di Arthur Rimbaud» (p. 85).
Intorno a lei ruotano pure Matteo e Marco, amici di Tommaso. E si scopre che
Angelo è il figlio della sublime Elisa, avuto in età giovanile quando non
poteva mantenerlo e quindi l’aveva affidato a un collegio. Lei non sa, però,
che il ragazzo di Tommaso è suo figlio. A ogni modo è geniale aver pensato a un
figlio di Elsa Morante, la quale notoriamente non ne ha avuti. Il titolo del
libro è polisemico: tanto Angelo è il
ragazzo quanto può essere lo stesso Tommaso (un angelo) e, ancor di più, ed è l’interpretazione più bella, l’angelo è proprio Elsa Morante.
L’amore elsiano
Il poeta la vede per caso a piazza Navona e la sente
parlare molto male di lui a una sua amica: «Devi conoscerlo, sai, questo
Angelo: è una vittima di quel mostro, quel diavolo di Tommaso … Mi ha chiesto
aiuto: è un ragazzetto carino, carino! Tenero e gentile, aspetto di leggere le
sue poesie per saperne di più, ma il temperamento c’è, Rimbaud non doveva
essere troppo diverso…» (p. 122). La caricatura del mito morantiano della
creaturalità è evidente. Ma ecco un colpo di scena: l’inclita Elisa si degna di
telefonare a Tommaso, lo ha chiamato in quanto si è stancata di Angelo: «Che
cosa vuole da me questo Angelo? – gli domanda. – Perché, se dici di amarmi, non
mi hai avvisato che è un rompiscatole? E per di più sgradevole? Mitomane e
volgare?» (p. 143). Non sa che sta parlando di suo figlio. Gli dà un’ultima
occasione di rivedersi, tornare amici ma assurdamente il poeta, sopraffatto
dall’orgoglio per essere stato in precedenza respinto, si rifiuta, sancendo
così la perdita inesorabile del suo rapporto con Elisa. L’epilogo del romanzo
ha luogo a Venezia, dove Tommaso si reca insieme ad Angelo mentre Elisa è
perduta per sempre. Vuol vivere lì in una dimensione senza tempo, per sottrarre
Angelo a Elisa. Passano anni, tornano a Roma e resta aperta la domanda: che
cosa voleva realmente Angelo sia da Tommaso che da Elisa? Era stato responsabile
della rottura tra i due, e così il poeta, alla fine, gli spara un colpo di
pistola alla testa.
La serie di rimandi speculari tra realtà e
letteratura è molteplice. Uno dei personaggi de La Storia, il poeta Davide Segre, è ispirato a Dario Bellezza. Davide
è un borghese, in parte proiezione metaletteraria della poetica anarchico-religiosa
di Elsa stessa. Si legge infatti in Angelo:
«Dario era uno dei protagonisti di un suo romanzo, La vita, che ebbe molti anni fa uno straripante, smisurato e
meritato successo. Chi conosceva Elisa sapeva che Dario aveva la sua voce,
impostata sulla retorica più solenne e altezzosa, melodiosa e osannante» (p.
7). Accadde che io stesso, come Tommaso a Elisa, telefonai a Dario Bellezza
parlandogli di Angelo e della fascinazione
che in quegli anni mi veniva dalla Morante, il che non apparve tra le cose più
simpatiche che lui volesse ascoltare, me ne rendo conto. Ma fu preso a sua
volta da quel mio gioco metaletterario, piuttosto incauto peraltro, anche
perché mi posi in quella situazione non come Tommaso bensì come Angelo, tant’è
vero che mi disse: “A questo punto la Morante avrebbe già riattaccato!”. Ero in
preda all’”amore elsiano” in un modo diverso dal suo e successivamente osai
coinvolgere in quell’intrigo la stessa Morante, alla quale piaceva giocare (in
senso alto) e che non solo non mi riattaccò il telefono ma mi chiese il mio
numero, le piacevano quelle parti dove io abito tuttora, il Sud, la Campania,
ma assolutamente non volle, neppure in seguito, che si parlasse di Dario, col
quale nel frattempo avevo stabilito un’amicizia spesso modulata in una dimensione
in cui difficilmente – ma questa in lui era la regola - la vita si separa dalla
letteratura. Ne venne un coacervo di equivoci, ne ho accennato qua e là in Ti scrivo brevemente per chiederti scusa dei
miei silenzi. Vita di Gaetano Dimatteo (prefazione di Elio Pecora, Edizioni
Libreria Croce 2009). Ho chiesto a Maurizio Gregorini, autore, tra l’altro, del
libro intitolato Il male di Dario
Bellezza. Vita e morte di un poeta (Stampa Alternativa 2006) e che gli è
stato molto vicino, a Roma, negli ultimi, difficili tempi (io l’ho seguito fino
al 1987), se Dario nei suoi giorni estremi parlasse ancora della Morante.
Maurizio mi ha detto al telefono, con la sua naturale e franca disinvoltura che
bravamente sottende la sua notevole sensibilità di poeta, assolutamente che sì,
Dario la nominava sempre, fino alla fine, perché il suo era stato proprio un
coinvolgimento duraturo, passionale, erotico, era stata l’unica donna della sua
vita (il rapporto con la Ortese si fondava su altre basi), non vederla e non
sentirla più fu uno dei suoi dolori più grandi, insieme al lutto per la morte
di Moravia. Raccolgo così questa preziosa testimonianza di Gregorini: quello di
Dario per Elsa fu un amore fatto di desiderio fisico, non a caso quasi tutti i
suoi libri ne traboccano, come l’esplicito Piccolo
canzoniere per E.M. (Edizione del Giano 1986): se non fosse stato per il
precipitare degli eventi, cioè la morte dell’amata, avrebbe ancora potuto
sperare di riappacificarsi con lei, sfidando l’impossibile, la leggendaria
intransigenza di lei.
Sandro De Fazi
per Amedit
– amici del mediterraneo, n. 42 /autunno 2020
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