è un film ambizioso che non raggiuge del tutto i suoi
obiettivi, benché sia un’interessante full
immersion nel mos maiorum
declinato nella sua dimensione più selvaggia e realistica, ma che tanto sarebbe
piaciuto al divino Augusto il quale infatti avrebbe cercato inutilmente di
ripristinare per legge l’austerità e il rigore morale dei nostri antichissimi
padri e antichissime madri, sia pur con minore truculenza.
Ma veniamo al difetto
più evidente del film, che presumibilmente era in partenza la maggiore
ambizione di Matteo Rovere: vi si parla un latino più o meno classico, il che è
un assurdo storico in quanto nell’Italia primitiva non ci si esprimeva certo
così. In altri termini, mi sembra che si sia confusa la pronuncia scientifica,
o restituta, del latino con il latino
arcaico, o perlomeno, può illudere a dare un senso di arcaicità il fatto che
viene adottata correttamente quella pronuncia, ma essa era in uso anche in età
classica e in gran parte di quella post-classica laddove la grammatica storica
e i primi documenti della lingua latina ci hanno evidenziato l'esistenza di una
lingua che avrebbe subito vari mutamenti nei secoli successivi (per es., tra il
VII e il V secolo, un'espressione come Manios
med fhefhaked Numasioi dà bene l'idea del vero protolatino, quindi non
poteva già dirsi Marius me fecit Numerio).
Del resto, come
si sarebbe potuto fare altrimenti? Questa constatazione va a vantaggio di Matteo
Rovere: già è tanto che un’opera cinematografica di ricostruzione storico-mitologica,
invece dell’italiano abbia adottato oggi un latino purchessia, e non
ecclesiastico, la cui pronuncia è quella circolante nelle scuole in Italia, ma
che non è scientifica, come si sa, anche perché nelle scuole francesi o inglesi
pronunciano il latino diversamente da come facciamo noi, e non come lo
pronunciavano i Romani. Vogliamo parlare allora di una licenza poetica?
Romolo
appartiene non alla storia ma al mito, sarebbe stato figlio, secondo una
tradizione, di Enea o del re Latino, e di madre troiana, una tal Romé: ma sono
tante le leggende che si intersecano con la storia. Se ne occuparono Fabio
Pittore, Tito Livio, Plutarco e vari altri, ma gli storici antichi erano
affabulatori e artisti prima ancora che storici. Semmai il senso primitivo del
sacro, del divino, su cui tanto ha avuto da dire Dumézil, è ben presente nel
film, ma in modo piuttosto freddo e intellettualistico, che non coinvolge né
emoziona fino in fondo lo spettatore.