1. Le Memorie letterarie e di vita di Ivan S. Turgènev
(o “Turghenief”, secondo altra trascrizione; per Whitman era “Turghienef”) sono
un resoconto asistematico e parziale dei rapporti con gli intellettuali che lo
scrittore conobbe nella sua vita a titolo variamente amichevole: in un caso
molto inimichevole (Dostoevskij: una
vera inimicizia), che infatti non è presente nel testo. Che è centralmente
tutto uno sdilinquirsi per Bělinskij, il critico più autorevole dell’epoca
(1843) in cui recensì favorevolmente la sua opera
prima, il poemetto Paraša: in questo
dimostra riconoscenza, diversamente da quanto ha fatto Arbasino con Pasolini in
Ritratti italiani. Il libro è interessante, in primo luogo,
perché intanto tutto quello che esce dalla penna di Turgènev diventa opera
d’arte letteraria, qui (il volume edito in Italia da Baldini&Castoldi nel
2000) in maniera mirabile e un po’ antiquata tradotta da Enrico Damiani. In
secondo luogo, questa specie di zibaldone autobiografico si lascia leggere con
piacere e curiosità sia per le omissioni (ancora una volta Dostoevskij, che
fece di lui una brutta caricatura nel personaggio di Karmazìnov ne I demoni, uno scrittorello; Tolstoj e Gončarov) sia
per la confusione tra letteratura e vita.
Molti elementi delle memorie
di vita andrebbero nelle memorie
letterarie, e viceversa. Non parla nemmeno di Flaubert che pure fu suo
amico ma essendo francese, è escluso dalle memorie. Eppure Turgenev era
occidentalista, al contrario di Dostoevskij, che era slavofilo.
Dei poeti e scrittori presi
in esame nelle memorie letterarie si
dà una testimonianza a prima vista tristissima nei loro angosciosi particolari
biografici, ma un pregio della prosa di Turgènev è saper restituire bellezza e
fiducia nella volubil-vile-torbida natura umana, a dispetto di tutta quella
desolazione.
2.
Il titolo è dunque, in parte, fuorviante, le memorie di vita riguardano a loro volta nemmeno la letteratura ma
la politica del suo tempo. Nella seconda parte, troviamo interventi di Turgènev
su questioni di attualità, come lettere a giornali o storie parigine sottoforma
di testo narrativo.
In particolare, L’esecuzione capitale di Troppmann è una
cronaca giornalistica scritta a Weimar nel 1870 e inclusa nelle memorie di vita.
Queste proseguono con
altri racconti indipendenti l’uno dall’altro e si concludono addirittura con un
Frammento d’un romanzo inedito, che
ci si aspetterebbe di vedere collocato nella prima parte, dove non aveva ugualmente
senso Una gita in Albano e a Frascati,
più attinente alle memorie di vita. Insomma
le memorie di Turgènev non sono
scritte al modo delle Confessioni di
Rousseau, secondo una classica sequenza lineare-progressiva delle vicende
rievocate.
Tutta questa
eterogeneità di materiali, assemblati a Baden-Baden tra il 1863 e il 1869, tra la
redazione di altre opere del periodo, se da una parte lascia sconcertati per la
mancanza di un evidente criterio logico e cronologico, dall’altra affascina per
l’audacia della sperimentazione e per il significato della polemica indiretta
che essa implica.
Da più di un secolo le
narrazioni storico-cronologiche non sono più necessarie nel canone occidentale,
né lo erano nel romanzo antico. Si consideri che nessuno scrittore russo dell’ottocento
è stato più controverso e contestato di Turgènev, ritenuto da “sinistra”
reazionario e da “destra” indulgente verso il nuovo, e con la pubblicazione di Padri e figli si era inimicato tanto la
vecchia quanto la nuova generazione.
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