È a prima vista singolare che nella prefazione
del 1899 a Materialismo storico ed economia marxistica il filosofo venisse
testualmente a precisare: «È stato affermato, da più d’uno, che io, da rigido marxista ortodosso,
mi sia venuto via via mutando e abbia assunto, in fine, atteggiamento di
critico e di oppositore. Non avrei, naturalmente, nessuna difficoltà ad
ammettere il fatto, se fosse vero; ma che non sia vero, non debbo spendervi
parole intorno: i saggi qui raccolti, e che sono tutto ciò che ho mai pubblicato
in materia, bastano a provarlo» (Laterza 1968, pp. IX-X). In queste parole si
coglie, come spesso accade negli scritti di Croce, il gusto del paradosso e
delle distinzioni non avulse però dalla coesistenza apparente di elementi
contradittori, o falsamente aporetici, proprio in quanto dialettici, o, meglio,
qui si comprende anche la funzione pedagogica - perché provocatoria - che Croce
si attribuiva e gli veniva riconosciuta di maestro non bisognoso di ripetitori
acritici, oltreché naturalmente del filosofo che è un generatore di nuovi
problemi da sviluppare da parte di altri.
Il paradosso
scaturiva qui invece dalla confusione che era stata fatta proprio attraverso i fraintendimenti
teleologici e fatalistici legati all’attribuzione erronea dei caratteri di una
filosofia della storia al materialismo storico. Di conseguenza, si era attribuita
a Marx - e «un po’ di
colpa spetta – sottolinea Croce - allo stesso Marx; il quale, come una volta
ebbe a dire, amava civettare (kokettieren)
con la terminologia hegeliana» (op. cit.,
p. 7) - la previsione stessa dell’inevitabilità progressiva, fatalistica e
quasi provvidenziale del comunismo.
Ebbene, una
filosofia della storia - ossia una filosofia dei fatti concreti che costituiscono
il corso della storia - è soltanto
possibile qualora tutto il corso della storia sia riducibile concettualmente, ragion
per cui il materialismo storico, come era stato sostenuto implicitamente già da
Antonio Labriola, non è una filosofia della storia. Tralasciando per un momento
il problema che quindi si pone, più di natura logica che storica, quello, cioè,
relativo al dilemma se sia impossibile al marxismo essere una filosofia della
storia oppure se non esistano tout court filosofie della storia (non
potendosi ridurre il movimento storico che al solo concetto di “sviluppo”, teoreticamente
non derivabile dall’idea di progresso se non presupponendo anche il regresso
nell’avvicendarsi dei fatti concreti: ma questo vorrebbe dire che l’unica
filosofia della storia legittima sia quella hegeliana), il materialismo storico
non risulta essere il capovolgimento della concezione hegeliana della storia.
Più corretto
è denominarlo “materialismo astratto”, perché introduce nella concezione della
storia il materialismo metafisico, per l’ovvio motivo che l’idea di Hegel non
sono le idee degli uomini. Ecco che il capovolgimento della filosofia hegeliana
della storia si dà (semmai) nel considerare immanentisticamente la storia un sistema
di forze. Il
materialismo storico è allora un fraintendimento o un modo di dire, non avendo
relazione col materialismo metafisico. In altri termini, un materialismo
storico così concepito è un equivoco marxistico, perché il materialismo storico
non solo non è l’ultima e definitiva filosofia della storia, bensì non è
affatto una filosofia della storia.
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