venerdì 17 gennaio 2014

L'ispirazione antifilosofica di Carducci


Di un «anticarduccianesimo postumo», come lo chiama Croce, e persistente ancora ai giorni nostri fu portabandiera di primo piano Guido Fortebracci: «Severissimo, poi, il giudizio complessivo: campeggiava in esso una parola, che correva per le bocche di molti: il Carducci non era un “poeta”, ma un “professore”. “La sua poesia, meno pochissime eccezioni, ha un vizio d’origine: è la poesia d’un professore, che non giunge mai a dimenticare la cattedra. Di rado un avvenimento, un paesaggio l’ispira per sé medesimo. L’avvenimento gli richiama alla memoria altri ricordi storici: il paese gli ricorda passaggi di poeti”» (Benedetto Croce, Giosue Carducci. Studio critico, Bari, Laterza, 1961, p. 9)
Ma l’ispirazione del Carducci fu, al contrario, antifilosofica e in quanto tale autenticamente estranea a vincoli concettuali extra-estetici e non-poetici. Il falso della retorica – quest’ultima essendo a sua volta indispensabile per dare rilievo al vero, che da solo apparirebbe pallida cosa e impossibile perché risulterebbe fuorviante e non credibile – è l’abituale etichetta entro la quale si ritiene solitamente di racchiudere le prese di posizione duramente anticarducciane, mentre è proprio tale elemento che da Croce è esaltato in termini di poesia. Il Carducci storico e critico della letteratura si tenne estraneo alla «ispida erudizione filologica, nemica delle Muse» (op. cit., p. 108). Carattere della poesia è dunque il falso, una sorta di menzogna morantiana costituitasi in alternativa e a integrazione della realtà del tempo. Il carattere fantastico e astorico della rappresentazione estetica è presente nel Carducci critico con l’affermazione:
«Se la poesia è e ha da essere arte, ciò che dicesi forma è e ha da essere della poesia almeno tre quarti»
e, di più, quando si lascia andare a dichiarare espressamente:
«Il falso è la materia e la forma dell’arte. Che sugo a favoleggiare di quello che tutto giorno facciamo e vediamo?».

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