giovedì 17 novembre 2011

Da Gennariello al Cavaliere: Fulvio Abbate e Pasolini




Pasolini fu un grande inattuale in senso nietzscheano, come Anna Maria Ortese, come Proust, dotato di capacità anticipatrici a costo di una sfasatura irreversibile col proprio tempo, vera «pietra dello scandalo per la destra come per la sinistra», ha scritto Giacomo Marramao. La scrittura di Fulvio Abbate è scorrevole, e questo è un pregio per la forma del “trattatello” pedagogico à la Gennariello che lo insegue fin dal titolo di questo libro ideologico, anche se attraversato da momenti di lirismo, che è Pier Paolo Pasolini raccontato ai ragazzi, dove Berlusconi è ossessivamente presente dalle prime righe fino almeno a una buona metà e oltre, come se l’argomento annunciato fosse tutt’altro. Fortunatamente, Abbate ci dà anche tranches de vie del mondo letterario romano gravitante intorno a Moravia. Ci sono commosse pagine su Laura Betti, istantanee su Sergio Citti, appare all’improvviso una Elsa Morante descritta «con quel foulard sulla testa che le dava un’aria da vecchia cui hanno strappato la pensione appena ritirata», Dario Bellezza che pretendeva per i poeti uno stipendio, essendo un lavoro la sua vita – io lo interpreto così – e dunque al poeta va retribuito il vivere. Anche di Dario, però, viene ricostruita soltanto la prima interpretazione dettata sulla tragedia notturna di Ostia in Morte di Pasolini (1981), che non piacque a Nico Naldini; non c’è riferimento alla seconda e definitiva, contenuta ne Il poeta assassinato (1996) dove Bellezza rivedeva in extremis la sua posizione precedente. Giustamente, viene citata in proposito Franca Leosini quando nel suo programma intervistò Pino Pelosi, nel 2005, costruendo un intrigo romanzesco degno di Patricia Cornwell. Ma è quantomeno bizzarro far coincidere l’apocalisse col berlusconismo e l’antiberlusconismo tout court: nonostante la sua disorganicità strutturale, Pasolini in vita era attaccato più dalla destra che dalla sinistra di allora e una critica al presente deve segnare il passo della distanza dalla dicotomia che esisteva all’epoca di Passione e ideologia («principe del “politicamente scorretto”» lo definisce Nichi Vendola nella prefazione), e che lui già demoliva con la bipolarità del suo pensiero. Nessuno può sapere ciò che Pasolini avrebbe detto dell’Italia di oggi.

Sandro De Fazi per Il Futurista, 18 novembre 2011