mercoledì 14 settembre 2011

Dividuum e individuum









Il grande sofferente è un maestro dell’estremo, chi è stato capace di rinnegare i suoi più alti ideali per amore dell’arte. Quando l’amore è sconfitto dalla verità, l’unico modo per ucciderlo definitivamente è rendere passionale la verità, erotizzarla, darle i connotati che prima erano stati di quello. È la criticanietzscheana alla metafisica dell’arte di Wagner. 
Il grande sofferente è tale perché la sua opera si scontra con l’incomprensione e i limiti del tempo, mentre l’arte vuole avere possibilità d’azione a costo di sconvolgere tutti i rapporti tra gli uomini e le cose e le scale di valore, le gerarchie e i ruoli sociali da cui sono condizionate le relazioni umane.
La storia della morale è immorale, il buono ha ribaltato la gerarchia dei valori contro il nobile per cui è stato necessario il ribaltamento del ribaltamento. Eravamo integri, prima della storia. Il mistico è da mettere sullo stesso piano dell’artista e del filosofo: la loro sofferenza è il trionfo dell’esperienza che altrimenti non avrebbero potuto acquisire, e che agisce come contrappeso intellettuale. Ma sussiste nel cristianesimo la stessa emozione dispotica che è voluta dagli artisti e dagli scrittori, sia pur non riconoscibile sul terreno dell’estasi degli uni e degli altri in quanto priva di fondamento veritativo (lo è anche l’arte). 
Il pensiero è teatro, ogni pensiero è un’emozione, emozione dispotica. L’uomo è il mondo interno, l’individuum come essere umano non è unitario, bensì è moralmente dividuum, divisibile e scisso nel gioco delle forze in tensione per il sopravvento del sé sul sé. Eppure aspiriamo alla vita individuale nonostante la storia. In questa rappresentazione scenica l’ambizione e l’invidia degli artisti, la loro piccolezza e inutilità sono sfrenate fino alla mitizzazione di sé e alla giustificazione immoralistica della vita come teatro del pensiero.

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