Una data, 14 aprile 1985. Una lettera. Inizia così: “…ti scrivo brevemente per chiederti scusa dei miei silenzi…”. È diventato il titolo del libro di Sandro De Fazi, prefazione di Elio Pecora, Edizioni Libreria Croce. Parole indirizzate da Anna Maria Ortese all’amico pittore di Nova Siri Gaetano Dimatteo. Le lettere sono tante, alcune pubblicate, molte altre no. Ma ancora di più sono state le telefonate della scrittrice, torrenziali, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Con un rischio sempre in agguato, perdere il filo del discorso e trasformare il telefono nel filo della pigrizia e della maldicenza. È uno dei momenti descrittivi più intensi del libro di De Fazi dedicato alla vita di Gaetano Dimatteo. Impresa ardua. Del resto, così onestamente scrive: “Sono ben consapevole, però, del sicuro dato di fatto – verso cui io oppongo resistenza – che la stesura della presente opera biografica coincida profondamente e mio malgrado con una certa quale impossibilità di scriverla…”.
Impossibile dice De Fazi. Intanto, racconta, di un mondo, quello dei “magnifici sei”, Alberto Moravia, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini, Enzo Siciliano e Dario Bellezza, della Scuola romana di poesia, rievocata anche in un recente volume di Renzo Paris, intitolato La vita personale, edizioni Hacca. Dimatteo è stato parte di quel mondo, soprattutto tramite Bellezza che nel 1979, così definì la sua opera: “…concepisce la pittura come una attività solarmente tragica, con questa pittura vuole testimoniare del sud di cui è figlio una condizione sospesa fra passato e futuro, fra istinto di vita e istanza di morte…”. Fasti miseri e miserie fastose di quel tempo si succedono nel libro di De Fazi, ripercorrono una storia di deragliamenti che diventano quotidianità, spesso dolorosa e comunque regola per chi non vuole darsi alcuna regola, perché, scrive, inoltre “gli artisti sono notoriamente dei mostri solitari e non amano che se stessi”.
Molte sono le pagine dedicate a Bellezza che, nella sua vita ha avuto solamente due veri amici, uno dei due è Dimatteo. Il “poeta maledetto”, volle ribattezzare il pittore di Nova Siri, lo chiamò Depisis e lo “retrocesse” al rango d’autista. E in quella teatralità che si confonde con la vita e che ha accomunato i due, l’artista lucano divenne personaggio chiave, grimaldello nell’isolamento cercato da Bellezza al castello di Bollita, l’antico toponimo di Nova Siri. Dimatteo fu il liberatore di una Isabella Morra altra che si irrorava nel maniero sbagliato, non quello della vicina Valsinni, dove viveva reclusa la poetessa, ma nel dominio del suo presunto amante Diego Sandoval De Castro. Era una liberazione che avveniva anche attraverso la gola, solleticata dalle abili mani della madre del Depisis lucano, Giuseppina Santarcangelo, ovvero dai suoi piatti mediterranei, semplici e prelibati. Ma, come aggiunge De Fazi, “questo non è un libro di memorie, la ricerca del tempo perduto è impossibile”. Insomma, si va per schegge, segmenti, giudizi folgoranti come quello espresso da Moravia, nel 1989, alla Fiera internazionale di arte contemporanea a Bari: “La pittura di Dimatteo è raffinatissima.” De Fazi, avverte più avanti che, comunque, “è tipico della classe media ‘mentire’ borghesemente e per esclusive ragioni di convenienza sociale”, non per ragioni etiche. Ma esiste ancora una classe media? Oppure è ormai un’assenza capace di sottrarre linfa vitale allo scandalo che provocano – ora non più – le opere e la vita stessa di Dimatteo? L’artista di Nova Siri, che non scoppia di salute, è più solo e questo libro non può che rinfrancarlo, perché oggi non ha neppure più il privilegio di autentici “nemici”. Può temere solamente i processi biologici alleati al tempo che passa, avversari spietati del sogno di gloria terreno che tutto decompongono. Poi, rimangono solo infiniti silenzi. Con tutto il rumore di fondo che c’è difficile mettersi in ascolto. Non è per caso se il volume è dedicato alla diva del cinema muto Louise Brooks.
Impossibile dice De Fazi. Intanto, racconta, di un mondo, quello dei “magnifici sei”, Alberto Moravia, Elsa Morante, Pier Paolo Pasolini, Dacia Maraini, Enzo Siciliano e Dario Bellezza, della Scuola romana di poesia, rievocata anche in un recente volume di Renzo Paris, intitolato La vita personale, edizioni Hacca. Dimatteo è stato parte di quel mondo, soprattutto tramite Bellezza che nel 1979, così definì la sua opera: “…concepisce la pittura come una attività solarmente tragica, con questa pittura vuole testimoniare del sud di cui è figlio una condizione sospesa fra passato e futuro, fra istinto di vita e istanza di morte…”. Fasti miseri e miserie fastose di quel tempo si succedono nel libro di De Fazi, ripercorrono una storia di deragliamenti che diventano quotidianità, spesso dolorosa e comunque regola per chi non vuole darsi alcuna regola, perché, scrive, inoltre “gli artisti sono notoriamente dei mostri solitari e non amano che se stessi”.
Molte sono le pagine dedicate a Bellezza che, nella sua vita ha avuto solamente due veri amici, uno dei due è Dimatteo. Il “poeta maledetto”, volle ribattezzare il pittore di Nova Siri, lo chiamò Depisis e lo “retrocesse” al rango d’autista. E in quella teatralità che si confonde con la vita e che ha accomunato i due, l’artista lucano divenne personaggio chiave, grimaldello nell’isolamento cercato da Bellezza al castello di Bollita, l’antico toponimo di Nova Siri. Dimatteo fu il liberatore di una Isabella Morra altra che si irrorava nel maniero sbagliato, non quello della vicina Valsinni, dove viveva reclusa la poetessa, ma nel dominio del suo presunto amante Diego Sandoval De Castro. Era una liberazione che avveniva anche attraverso la gola, solleticata dalle abili mani della madre del Depisis lucano, Giuseppina Santarcangelo, ovvero dai suoi piatti mediterranei, semplici e prelibati. Ma, come aggiunge De Fazi, “questo non è un libro di memorie, la ricerca del tempo perduto è impossibile”. Insomma, si va per schegge, segmenti, giudizi folgoranti come quello espresso da Moravia, nel 1989, alla Fiera internazionale di arte contemporanea a Bari: “La pittura di Dimatteo è raffinatissima.” De Fazi, avverte più avanti che, comunque, “è tipico della classe media ‘mentire’ borghesemente e per esclusive ragioni di convenienza sociale”, non per ragioni etiche. Ma esiste ancora una classe media? Oppure è ormai un’assenza capace di sottrarre linfa vitale allo scandalo che provocano – ora non più – le opere e la vita stessa di Dimatteo? L’artista di Nova Siri, che non scoppia di salute, è più solo e questo libro non può che rinfrancarlo, perché oggi non ha neppure più il privilegio di autentici “nemici”. Può temere solamente i processi biologici alleati al tempo che passa, avversari spietati del sogno di gloria terreno che tutto decompongono. Poi, rimangono solo infiniti silenzi. Con tutto il rumore di fondo che c’è difficile mettersi in ascolto. Non è per caso se il volume è dedicato alla diva del cinema muto Louise Brooks.
(p.d.)
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