Il blog di Sandrino De Fazi
Parerga e paralipomena
mercoledì 21 febbraio 2024
giovedì 11 gennaio 2024
Quell’intrigo che sa di immaginario: protagonisti al telefono/ANGELO di Dario Bellezza
La luce di Arthur Rimbaud
Non si capisce come mai i libri in prosa di Dario Bellezza
(1944-1996), che sono ben nove, non siano più stati ristampati mentre per
l’opera poetica ci sono state le pregevoli curatele di Elio Pecora per le Poesie 1971-1996 (Mondadori 2002) e di
Roberto Deidier per Tutte le poesie
(Mondadori 2015). Eppure ho riletto a distanza di anni il romanzo Angelo ed è stato un godimento letterario
dei più sopraffini grazie alla sua prosa sfarzosa, degna di stare accanto, per
derivazione, alla nostra migliore Scapigliatura, oltre che per la grandiosa
capacità di affabulare personaggi del mondo della letteratura in un complesso
gioco di rimandi e allusioni che solo chi sia addentro alle vicende di quei
protagonisti può cogliere e apprezzare fino in fondo nelle sottili sfumature
della storia narrata. Dario Bellezza era un purista della lingua e Angelo è un romanzo a suo modo leopardiano,
è stato un libro inattuale quando uscì presso Garzanti nel 1979, oggi resta un
classico. Lo lessi nei primi anni Ottanta, appartiene alla mia mitologia personale
che fu anche quella di un’intera generazione e ricordo che me lo portavo dietro
dappertutto, come fosse un oracolo da consultare o un breviario sacrale da cui
non avevo che da apprendere. Non ho usato a caso l’aggettivo “leopardiano”:
quel che in Pasolini è la “funzione Gramsci” diventa in lui la “funzione
Leopardi”, non c’è nessun impegno politico nel protagonista Tommaso, pur in
un’epoca caratterizzata da un’ideologia finanche prevaricatrice; non vi è che
amore e morte, i due grandi temi romantici della nostra tradizione letteraria.
E quando l’amore decade, non resta che girare intorno all’orbita della
famosissima scrittrice Elisa V., la Demiurga, colei che strega Tommaso, intrigata
a sua volta dall’ammirazione che il giovane nutre per lei. Lui la cerca per
telefono, Elisa sulle prime finge di non essere lei: “’Ma che cosa vuole da
questa Elisa? Qua telefonano solo scocciatori, e mai un angelo del Paradiso, un
immortale!’ … ‘Io sono la cameriera della signora Elisa’” (p. 15). In questa
fase iniziale «un angelo del Paradiso» sembra un modo di dire ma poi un
personaggio denominato proprio Angelo subentrerà nella vita di entrambi. Successivamente
si stabilisce un rapporto tra i due: «mi rivolsi infinite volte ad Elisa, e a
furia di bussare alla fine il suo grande cuore mi fu aperto» (p. 17). Sappiamo
tutti, o perlomeno chi è al corrente dei fatti, che Elisa V. è il senhal di Elsa Morante, magistralmente traslata
nelle ridondanze romantiche di questa trama passionale. Lei riuscì a bloccare
l’uscita del romanzo per due anni, ma qui è la Letteratura, qualcosa che fa
dimenticare le brutture dell’esistenza, la fantasia visionaria che alimenta
maternamente Tommaso. La loro frequentazione si interrompe presto, appena il
ragazzo, omosessuale avvolto nel vizio e mancante di vitalità, decide di
lasciare la casa paterna. Elisa non vuole aiutarlo in questo suo cammino verso
l’autonomia. Secondo lei, la scelta di Tommaso è borghese, come gli dirà
successivamente in un incontro casuale.
Tommaso ha ambizioni poetiche, è già un
poeta maledetto, consapevole della grande influenza della scrittrice sulle
menti giovanili. Quanto al forte ascendente che la Morante esercitava realmente
su quegli happy few e neo-critici, è
il caso di ricordare alcune parole di Elio Pecora contenute in un suo
esilarante libro proprio riguardo allo «stuolo di giovani e giovanissimi delle
più diverse estrazioni, tutti adoranti. Lo si vide chiaramente – scrive – quando
si levarono compatti contro Dario Bellezza che, esiliato da lei per torti mai
chiariti, le dichiarò guerra dalle pagine di “Paese Sera”» (Il libro degli amici, Neri Pozza 2017,
p. 62). Nel racconto di Tommaso non è subito chiara la ragione del dissidio, se
non quella attribuibile in maniera preconcetta alla “negatività” di Elisa. Ma tutta
una serie infernale di ragazzi contesi verrà a determinare la rottura
definitiva tra i due. Nei suoi vagabondaggi per la città eterna, a Campo dei
Fiori, Tommaso conosce Angelo, «sguardo fiero e bocca malinconica» (p. 46).
Costui pretende di essere uno scrittore affermato, in realtà è di fatto un
delinquente, con una storia di abbandoni familiari alle spalle, di droga, un
disadattato sociale, un folle. Millanta non solo di aver pubblicato due libri
di successo, ma pure di essere stato l’amante di Elisa. Allora Tommaso le invia
una lettera di insulti. La risposta di Elisa, riportata nel romanzo (pp.
69-70), non si fa attendere: non vorrà più vederlo, Tommaso è stato esiliato
senza appello. La verità è che il poeta sceglie di Elisa un’immagine
costantemente negativa, tra le tante possibili, come è spiegato nella lettera
di lei, che è poi la trascrizione pressoché integrale di quella che realmente
Elsa Morante indirizzò a Bellezza (cfr. L’amata.
Lettere di e a Elsa Morante, a cura di Daniele Morante con la
collaborazione di Giuliana Zagra, Einaudi 2012, pp. 538-539). Agli occhi di
Elisa forse Angelo «appariva come un angelo ribelle, un giovane poeta della
fortuna, estatica febbre, luce simile a quella di Arthur Rimbaud» (p. 85).
Intorno a lei ruotano pure Matteo e Marco, amici di Tommaso. E si scopre che
Angelo è il figlio della sublime Elisa, avuto in età giovanile quando non
poteva mantenerlo e quindi l’aveva affidato a un collegio. Lei non sa, però,
che il ragazzo di Tommaso è suo figlio. A ogni modo è geniale aver pensato a un
figlio di Elsa Morante, la quale notoriamente non ne ha avuti. Il titolo del
libro è polisemico: tanto Angelo è il
ragazzo quanto può essere lo stesso Tommaso (un angelo) e, ancor di più, ed è l’interpretazione più bella, l’angelo è proprio Elsa Morante.
L’amore elsiano
Il poeta la vede per caso a piazza Navona e la sente
parlare molto male di lui a una sua amica: «Devi conoscerlo, sai, questo
Angelo: è una vittima di quel mostro, quel diavolo di Tommaso … Mi ha chiesto
aiuto: è un ragazzetto carino, carino! Tenero e gentile, aspetto di leggere le
sue poesie per saperne di più, ma il temperamento c’è, Rimbaud non doveva
essere troppo diverso…» (p. 122). La caricatura del mito morantiano della
creaturalità è evidente. Ma ecco un colpo di scena: l’inclita Elisa si degna di
telefonare a Tommaso, lo ha chiamato in quanto si è stancata di Angelo: «Che
cosa vuole da me questo Angelo? – gli domanda. – Perché, se dici di amarmi, non
mi hai avvisato che è un rompiscatole? E per di più sgradevole? Mitomane e
volgare?» (p. 143). Non sa che sta parlando di suo figlio. Gli dà un’ultima
occasione di rivedersi, tornare amici ma assurdamente il poeta, sopraffatto
dall’orgoglio per essere stato in precedenza respinto, si rifiuta, sancendo
così la perdita inesorabile del suo rapporto con Elisa. L’epilogo del romanzo
ha luogo a Venezia, dove Tommaso si reca insieme ad Angelo mentre Elisa è
perduta per sempre. Vuol vivere lì in una dimensione senza tempo, per sottrarre
Angelo a Elisa. Passano anni, tornano a Roma e resta aperta la domanda: che
cosa voleva realmente Angelo sia da Tommaso che da Elisa? Era stato responsabile
della rottura tra i due, e così il poeta, alla fine, gli spara un colpo di
pistola alla testa.
La serie di rimandi speculari tra realtà e
letteratura è molteplice. Uno dei personaggi de La Storia, il poeta Davide Segre, è ispirato a Dario Bellezza. Davide
è un borghese, in parte proiezione metaletteraria della poetica anarchico-religiosa
di Elsa stessa. Si legge infatti in Angelo:
«Dario era uno dei protagonisti di un suo romanzo, La vita, che ebbe molti anni fa uno straripante, smisurato e
meritato successo. Chi conosceva Elisa sapeva che Dario aveva la sua voce,
impostata sulla retorica più solenne e altezzosa, melodiosa e osannante» (p.
7). Accadde che io stesso, come Tommaso a Elisa, telefonai a Dario Bellezza
parlandogli di Angelo e della fascinazione
che in quegli anni mi veniva dalla Morante, il che non apparve tra le cose più
simpatiche che lui volesse ascoltare, me ne rendo conto. Ma fu preso a sua
volta da quel mio gioco metaletterario, piuttosto incauto peraltro, anche
perché mi posi in quella situazione non come Tommaso bensì come Angelo, tant’è
vero che mi disse: “A questo punto la Morante avrebbe già riattaccato!”. Ero in
preda all’”amore elsiano” in un modo diverso dal suo e successivamente osai
coinvolgere in quell’intrigo la stessa Morante, alla quale piaceva giocare (in
senso alto) e che non solo non mi riattaccò il telefono ma mi chiese il mio
numero, le piacevano quelle parti dove io abito tuttora, il Sud, la Campania,
ma assolutamente non volle, neppure in seguito, che si parlasse di Dario, col
quale nel frattempo avevo stabilito un’amicizia spesso modulata in una dimensione
in cui difficilmente – ma questa in lui era la regola - la vita si separa dalla
letteratura. Ne venne un coacervo di equivoci, ne ho accennato qua e là in Ti scrivo brevemente per chiederti scusa dei
miei silenzi. Vita di Gaetano Dimatteo (prefazione di Elio Pecora, Edizioni
Libreria Croce 2009). Ho chiesto a Maurizio Gregorini, autore, tra l’altro, del
libro intitolato Il male di Dario
Bellezza. Vita e morte di un poeta (Stampa Alternativa 2006) e che gli è
stato molto vicino, a Roma, negli ultimi, difficili tempi (io l’ho seguito fino
al 1987), se Dario nei suoi giorni estremi parlasse ancora della Morante.
Maurizio mi ha detto al telefono, con la sua naturale e franca disinvoltura che
bravamente sottende la sua notevole sensibilità di poeta, assolutamente che sì,
Dario la nominava sempre, fino alla fine, perché il suo era stato proprio un
coinvolgimento duraturo, passionale, erotico, era stata l’unica donna della sua
vita (il rapporto con la Ortese si fondava su altre basi), non vederla e non
sentirla più fu uno dei suoi dolori più grandi, insieme al lutto per la morte
di Moravia. Raccolgo così questa preziosa testimonianza di Gregorini: quello di
Dario per Elsa fu un amore fatto di desiderio fisico, non a caso quasi tutti i
suoi libri ne traboccano, come l’esplicito Piccolo
canzoniere per E.M. (Edizione del Giano 1986): se non fosse stato per il
precipitare degli eventi, cioè la morte dell’amata, avrebbe ancora potuto
sperare di riappacificarsi con lei, sfidando l’impossibile, la leggendaria
intransigenza di lei.
Sandro De Fazi
per Amedit
– amici del mediterraneo, n. 42 /autunno 2020
mercoledì 22 novembre 2023
Recensione di Stefania Bergamini a INTRIGO
"I libri
andrebbero scritti unicamente per dire cose che non si oserebbe confidare a
nessuno."
E.M. Cioran, L'inconveniente di essere nati.
Questa citazione nel capitolo "Intrigo. Frammento di vita contemporanea”, insieme al tema del "Desiderio", potrebbe essere il filo conduttore di Intrigo, la nuova opera di Sandro De Fazi.
Cito Baudelaire: "Celui qui regarde du dehors à travers une fenêtre ouverte, ne voit jamais autant de choses que celui qui regarde une fenêtre fermée."
“Chi guarda stando fuori da una finestra aperta non vede mai tante cose quanto colui che guarda una finestra chiusa.”
Desiderio
inappagato e per questo tormentato e illusorio.
Desiderio
desiderato se leggiamo il capitolo “Degrado estasiato”:
"Forse lo sa
anche lui.
Del resto non so
chi sia.
So di lui
pochissimo".
Capitolo bellissimo
in cui l'io narrante fa riferimento a Sexy,
di Joyce Carol Oates riletto dopo anni e rimanendo deluso da questa rilettura
avendo la sensazione di una trama modificata dal tempo trascorso e nel suo
rielaborare il testo.
Il desiderio
appagato, quindi non più desiderio ma, andando a Kierkegaard, che apre il
capitolo “La scatola”:
"I grandi
amanti, coloro nei quali l'amore ha bagliori di appassionata bellezza, non
sono, di solito, coniugati."
Remo Cantoni, Kierkegaard e la vita etica.
E, nel Diario di un seduttore, Johannes è un
fautore del desiderio non appagato, appena si realizza perde interesse per
l'amata e fugge, provocando dolore e disperazione.
"Soffriva di
una specie di eccitazione mentale, per cui la realtà non bastava a stimolarlo
se non sporadicamente"
Intrigo, di Sandro De
Fazi, è esattamente il "Desiderio" cerebrale e fisico, giocare assieme
con i rimandi letterari, le seduzioni proibite, i pensieri sull'altro che sono
sguardi infiniti, un gioco che avvicina le fantasie fatalmente immorali a
un'inspiegabile ansia, una inattesa malcelata inquietudine, come un'impressione
inesprimibile di un ritrarsi ombroso e raffinatamente kierkegaardiano.
Poi c'è il
desiderio appagato che porta il lettore a considerare l'inevitabile vicinanza
tra il non esaudire e l'esaudire .
A mio parere
un'opera raffinata e coinvolgente per la trama, i riferimenti letterari, il
detto e non detto, il fatto e non fatto, il vero e il non vero che attrae il
lettore portandolo all'interno di un cerchio che non ha un inizio e non ha una
fine.
Stefania
Bergamini
21 novembre
2023
venerdì 10 novembre 2023
Recensione di Andrea Rossetti a EUGENIO (2 ottobre 2021)
In questo romanzo - Eugenio - che si offre all'apparenza come una sorta di intimo diario erotico, perso in un intricato fil rouge che va da Kierkegaard a Dario Bellezza (ma a mio parere anche a Tondelli e, andando oltreoceano, a David Leavitt), Sandro De Fazi mi ha fatto pensare soprattutto al mio amatissimo Pirandello, un Pirandello meno razionalmente paradossale e più morbido, direi addirittura giocoso, giacché la domanda di fondo che incombe fin da subito sul racconto è: chi ha scritto e cosa?
In fondo Eugenio è anche un thriller, come ogni meta-narrazione che si rispetti.
Da leggere.
(Andrea Rossetti, 2 ottobre 2021)
sabato 4 novembre 2023
mercoledì 1 novembre 2023
domenica 15 ottobre 2023
L’ULTIMO VIAGGIO DI WERNER MÜDE di Andrea Rossetti. Una recensione
Guido Valderani raccoglie le ultime lettere dell’amico Werner Müde a lui
indirizzate prima che questi si rechi in Svizzera per il suicidio assistito,
dopo aver scoperto non ancora quarantenne di avere l’Alzheimer. L’ultimo viaggio di Werner Müde (Giacovelli
Editore, 2023) di Andrea Rossetti potrebbe apparire come la riscrittura sapiente
e originale, ai giorni nostri, del capolavoro foscoliano. Werner va perdendosi
in viaggi da Lisbona a Roma, da Palermo a Selinunte a Capri (proprio a Villa
Lysis), da Firenze a Lucca a Milano, da Bologna a Ferrara a Zurigo. Quello di Rossetti
è un romanzo epistolare dai motivi fortemente romantici e felicemente
anacronistici, e allo stesso tempo è una professione di poetica e un atto eroico
di resistenza estetica, nonché etica.
Werner indirizza unilateralmente a Guido il suo romanzo epistolare, nel
senso che non conosciamo le eventuali risposte dell’altro e qui il pensiero al
Foscolo dell’Ortis si impone
obbligatoriamente, stabilendosi un’indubbia analogia tra Werner Müde-Jacopo Ortis
e Guido Valderani-Lorenzo Alderani nella memoria del lettore. In appendice Guido
riporta il testo di un dialogo avvenuto in chat
tra Werner e Chiara, facente funzione di Teresa. Personalmente sento più vicino,
però, detto questo, il romanzo di Rossetti non tanto all’Ortis bensì, ma al Sesto tomo
dell’io del Foscolo, anche se i primi cinque tomi non furono mai scritti da
Niccolò Ugo (cfr. Edizioni Croce 2019, con una dottissima introduzione e a cura
di Maria Serena Sapegno), per la molteplicità delle tematiche affrontate. Il romanzo
di Andrea Rossetti può essere benissimo Il
settimo tomo dell’io della letteratura italiana nel contesto europeo per la
sua tonalità picaresca, l’estetismo assoluto che fa venire in mente Joris-Karl
Huysmans. E va aggiunto, a questo proposito, che prima di Andrea è esistito in
Italia un altro Rossetti, esattamente il napoletano Gabriele Rossetti (1783-1854)
autore di libretti d’opera e scritti danteschi tra cui Beatrice di Dante (Londra, 1842; Imola, 1935), e poeta in proprio
(in Arcadia aveva il nome di Filidauro Labidiense).
Per vero si tratta di e-mail e di
messaggi che hanno avuto luogo in chat:
il nostro tempo non concede l’uso di penna e calamaio, anche se mi risulta che
l’autore neppure disdegni tale pratica. Parliamo di una prosa lirico-narrativa
di altissimo livello in forma epistolare-wertheriana post-moderna (e-mail di un solo personaggio fondamentalmente
a un solo destinatario, anche se Chiara è ricorrente nel testo). Rossetti ci
sfida quando fa dire al suo personaggio: «è la vita il vero capolavoro del genio,
quella vita della quale le sue opere non sono che sinceri, ambigui e reticenti
testimoni della difesa. La fede senza le opere è muta ma le opere senza la fede
straparlano» (p. 35). Rossetti realizza un vero momento di impegno civile nel
quale l’identità della critica al presente – al politically correct, alla sua degenerazione nella cancel culture che ci affligge fino al
paradosso di danneggiare con tante buone intenzioni proprio i diritti egualitari
e inclusivi che ne costituivano le premesse necessarie, fino, per intenderci, implicitamente
e come conseguenza logica, alla neo-chiesa liberal-progressista di Bergoglio - è
ben precisa e anche il suo ruolo: «Siamo immersi nell’infinita chiacchiera,
siamo in pieno pianerottolo globale, tra falsi profeti, finti scoop, segreti di
Pulcinella svelati, menzogne, idiozie e, soprattutto, opinioni irrilevanti» (p.
37).
Ma su tutto e tutti primeggia, superbamente intangibile, Chiara. La
passione d’amore di Werner è un tutt’uno con quella letteraria, il romanzo di
Rossetti è anche un breviario poetico-esistenziale: Chiara è un amore non troppo
virtualmente diverso da come avrebbe, per la sua portata simbolica, potuto essere l’amore
di Dante per Beatrice. «Fui almeno, fra tanti falsi mancanti, un vero assente» (p.
178) è la frase che Guido Valderani ci riporta nella sua nota finale a chi
legge.
lunedì 9 ottobre 2023
Recensione di Andrea Rossetti a INTRIGO
Quando
leggo un libro di Sandro De Fazi - e li ho letti quasi tutti - do per scontato
sin da principio che qualcosa mi sorprenderà, perché la cifra della sua
scrittura è sempre l’inganno elegante, che io amo definire l’abuso estetico
della digressione. De Fazi usa infatti la digressione in modo a dir poco
mirabile, così da fuorviare, in una sorta di vergiliato malizioso, il lettore,
senza sottrarsi al coinvolgimento diretto, cosicché leggere un romanzo, un
saggio, un racconto, una poesia di Sandro De Fazi comporta l’onere e l’onore di
una passeggiata, nel senso più walseriano del termine, sottobraccio all’autore.
In
questo Intrigo che, come il Decameron, è un romanzo di racconti, si
viene subito fuorviati, anzi è forse più appropriato dire confusi: Intrigo è un titolo hitchcockiano, fa
pensare a un complotto, a un mistero; ma Intrigo
significa anche attrazione, complicazione, imbarazzo. Ebbene De Fazi gioca
magistralmente col lettore portandolo infatti a credere ciò che vuole e a
volere ciò in cui non crede.
In
realtà, questo romanzo di racconti è un intrigo tanto nel senso del labirinto
che del mosaico.
L’etimologia,
controversa e misteriosa, della parola labirinto ci offre ricchi spunti di
riflessione. Una prima interpretazione sembra ricondurre la parola al greco λαβύρινθος, usato nella
mitologia per indicare il labirinto di Cnosso; la parola trae la sua
derivazione dal lidio labrys =
bipenne, l’ascia a due lame, simbolo del potere reale a Creta. In effetti, il
libro di De Fazi è un luogo complesso, nel quale il racconto viene sezionato e
direi quasi disorientato dalla ricerca potente e regale della propria
prescritta e fatale unità (come l’ascia bipenne, alla quale le due lame,
sebbene a sé stanti, comunque appartengono). Credo tuttavia che non si debba
dimenticare in questo caso anche un’etimologia più complessa e magari
discutibile, quella cioè che connette λαμβάνω, prendo, e ρινάω, inganno, ovvero “vengo ingannato”. Sandro De Fazi,
maestro della digressione come l’ho definito a suo tempo, non può non essere
anche un grande ingannatore. Ed è proprio qui, nell’al di là di un tempo
giocosamente intrecciato nel romanzo, che ci soccorre l’altro concetto che ho
prima evocato: il mosaico. Intrigo ci
sfida da labirinto, nel corpo a corpo, come Gamiani
di Alfred de Musset (non a caso opera attribuita con certezza al suo autore ma
da lui mai firmata), e ci incanta come mosaico, nella distanza spirituale di
una contemplazione estatica d'insieme.
In
definitiva, De Fazi ci racconta sfacciatamente l’eros solo per dircene
manzonianamente “il sugo”, per digredire da par suo in un incantevole e non di
rado amaro saggio sull’amore.
Andrea Rossetti
Palermo, 9 ottobre 2023
mercoledì 20 settembre 2023
Gianni Vattimo (4 gennaio 1936-19 settembre 2023)
Mi spiace molto. Speravo che non accadesse così presto. Mi è capitato di parlare con lui a Caserta, molti anni fa ormai: un dialogo così autentico, nel senso che si parlava - parlavo - ma le parole non contavano - con lui secondo la vera filosofia, come dire, cioè senza alcuna sovrastruttura pur dall'alto della sua statura e, penso, proprio in ragione di quella. Non era umanamente distante. Tutt'altro. Ebbi qualche scambio di e-mail qualche tempo dopo. Ne ho un bel ricordo, dal quale c'è tuttora da attingere, soprattutto ora riguardo al 《debolismo》 che qui si cita. Un grave lutto per la cultura internazionale.
Sit tibi terra levis.❤
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19 gennaio 2012. Franco Freda parla bene di coloro che, artisti, intellettuali, « concorrono al bello, alla grande passione, a Dioniso e c...