martedì 19 agosto 2025

La scrittura come reale aumentato

Tutto ciò che creo sulla pagina — volti, gesti, situazioni — esiste davvero, ma nella scrittura si trasforma: non è mera rappresentazione, ma intensificazione dell’esperienza. Ciò che accade sulla pagina possiede una verità ontologica, più densa, più radicata, più reale del quotidiano, perché la scrittura non si limita a riprodurre: eleva l’esperienza alla misura del possibile e dell’essenziale.
       Anche l’eros si fa materia e luce: i suoi moti si caricano di intensità, e la passione si manifesta come se la scrittura potesse trattenere l’invisibile e renderlo tangibile.
 


domenica 17 agosto 2025

Estate, piscina e resistenza alla vacanza massiva: riflessioni tra acqua, libri e spunti vitalistici

Questa estate mi trovo spesso in una piscina pubblica, luogo apparentemente ordinario ma sorprendentemente fertile per pensieri e osservazioni. Lì il tempo non è quello canonico della “vacanza” massiva: non si tratta di aggregazioni uniformi, di folle che si spostano come flussi indistinti, di consumi replicati e di gesti stereotipati. Al contrario, l’esperienza acquatica si svolge in un ritmo proprio, sospeso, dove l’osservazione e la concentrazione diventano un piccolo atto di libertà.

Ogni gesto – una nuotata, una chiacchiera silenziosa, un'osservazione fugace – assume peso e significato. La piscina diventa così un laboratorio di vita quotidiana, un microcosmo in cui l’individuo può confrontarsi col tempo, con lo spazio e con le altre presenze senza cedere alla logica del consumo di vacanza. In questo senso, ogni giorno trascorso lì è una piccola resistenza alla standardizzazione del piacere.

Più avanti, ho in programma di raggiungere quel di Orvieto, ma anche questo viaggio non è concepito come evasione dai giorni ordinari: lo vedo come occasione per incontrare luoghi e atmosfere in modo riflessivo, lento, intenzionale. Un percorso che non cede alla superficialità della vacanza massiva, ma che coltiva la percezione, l’esperienza e l’attenzione.

In questa estate, dunque, tra acqua, libri, spunti vitaliastici e luoghi da scoprire, continuo a coltivare la mia forma di osservatorio: un tempo personale, non consumistico, dove anche le piccole routine quotidiane diventano materia di riflessione e di scrittura.

 

La mia bibliografia aggiornata: una mappa dei pensieri e delle forme

Dopo anni di parole sparse tra libri, riviste e antologie, grazie a ChatGPT ho finalmente messo ordine nella mia bibliografia. Qui trovate tutta la mia produzione finora, organizzata cronologicamente e per genere, una mappa dei miei pensieri, delle mie storie e delle mie poesie.

Questa bibliografia non è soltanto un elenco: è uno specchio della mia attività creativa e riflessiva, e può essere letta come un piccolo laboratorio di sociologia della letteratura. Attraverso la poesia, la narrativa e la saggistica, emerge un dialogo costante con il contesto culturale e sociale in cui le opere sono nate, un’interazione tra il singolo autore e le strutture più ampie del discorso letterario italiano e internazionale.

Le categorie non sono mai rigide: ogni opera dialoga con più registri e orizzonti, oscillando tra il soggettivo e l’universale, tra l’intimo e il collettivo.


📜 POESIA

La poesia raccoglie frammenti di esperienza e intuizione, riflettendo sui modelli culturali e sui percorsi interiori.

→ “Vacuo cielo” – Gabrieli editore, 1986
→ Poesie, in Poeti e Poesia, rivista internazionale, direttore Elio Pecora – Pagine, 2008
→ “Chiesi al vento di Tivoli”, prefazione di Marco Cappadonia Mastrolorenzi – Controluna, 2019


📖 NARRATIVA

La narrativa esplora vite e vicende che, pur individuali, contengono tensioni storiche, sociali e psicologiche più ampie, e raccontano l’interazione tra persona e società.

→ “Una storia così vana” – s.i.p., 2021
→ “Eugenio” – Supernova, 2021
→ “Intrigo” – Il Seme Bianco, 2023
→ “Gli angeli assurdi” – Il Seme Bianco, 2025


📝 SAGGISTICA

La saggistica testimonia un impegno critico verso la filosofia, la letteratura e la storia delle idee, dialogando con contesti culturali ampi e multidisciplinari.

→ “Il tempo come progresso: tra παιδεία e moderno” – pubblicato su Academia.edu, 1990
→ “Ti scrivo brevemente per chiederti scusa dei miei silenzi. Vita di Gaetano Dimatteo”, prefazione di Elio Pecora – Edizioni Libreria Croce, 2009
→ “Il circolo vizioso” – pubblicato su Academia.edu, 2007
→ “Il dramma dell’ultimo Virgilio” – Edizioni Saecula, 2017
→ “Defending Bosie”, prefazione di Paolo Crimaldi – Telemaco Edizioni, 2018
→ “La vita di Beatrice” – s.i.p., 2023


📚 CONTRIBUTI IN ANTOLOGIE, ANNUARI E RIVISTE

Questi contributi mostrano la mia partecipazione a reti culturali più ampie, dialogando con altri autori e con lettori diversi, e contribuendo a plasmare spazi collettivi di riflessione.

→ “Ma ampio, amplissimo”, in Arianna – Book Editore, 1991
→ “Intuisti”, in Dimensione Poesia – Edizioni Il Calamaio, 1996
→ “Filastrocca – Tu sei la vita – In macchina, procedendo in mezzo al traffico”, in Noi, nuovi poeti – Gabrieli editore, 1998
→ “Più romano che greco”, in Off-side 3 – Edizioni Libreria Croce, 2000
→ “Scheda personale”, in Grande Annuario 2007 – Gabrieli editore, 2007

— — Mancano miei contributi a riviste cartacee e online (recensioni di libri, articoli ecc.), ma per quelli consultare questo mio blog: sandrodefazi.blogspot.com

 


venerdì 25 luglio 2025

Recensione di Stefania Bergamini a GLI ANGELI ASSURDI (Il Seme Bianco, 2025)





Tutto si è capovolto. Ciò che era improbabile si è fatto scontato. Non credo nel sistema, la vita è aforisma, è ossimoro. Tutto è da improvvisare. Avventura.

Un baraccone.

Il memoriale di un pazzo.

Un saggio filosofico asistematico.

Un romanzo destrutturato.

Un'autobiografia immaginaria.

Un dialogo con sordi

Una tragedia burlesca.

Una commedia surreale.

Un documento inattendibile.

Un fumetto insulso.

Una chiave magica.

Un testamento.

Una poesia.

Uno zibaldone.”

Gli angeli assurdi, pp. 64-65.

 

Ci sono libri che non si leggono soltanto.

Si attraversano.

Gli angeli assurdi di Sandro De Fazi è uno di questi.

È un libro che resta sulla soglia, come certe persone che ci hanno sfiorato senza mai entrare davvero. È fatto di sospiri trattenuti, di gesti mai compiuti, di desideri custoditi nel silenzio.

Di contrasto è intriso anche di pura razionalità.

Sandro De Fazi scrive con la precisione di un filosofo e la fragilità di chi sente troppo. Ogni frase è un frammento di ciò che avrebbe potuto essere: incontri che accadono solo nella mente, dialoghi immaginati, carezze mai date, ma intensissime nella loro mancanza.

L’ho letto con attenzione profonda, come se ogni pagina mi parlasse anche delle mie attese, dei miei non detti.

C’è qualcosa di raro in questa scrittura: il coraggio di restare fermi, di non trasformare il desiderio in conquista, ma in parola.

E forse proprio lì, nella rinuncia, nella ritrosia, nasce la sua forza.

Perché Sandro riesce a rendere eterno ciò che per la maggior parte di noi sarebbe passato senza lasciare traccia.

Benvenuti in questo romanzo-diario segreto.

Leggetelo attentamente: vi parlerà più con quello che non dice, che con quello che racconta.

 

                                                                                 (25 giugno 2025)


Presentazione de GLI ANGELI ASSURDI (Il Seme Bianco) - Libreria Feltrinelli, Caserta, 26 giugno 2025

 



 Il video integrale della presentazione de Gli angeli assurdi, registrata il 26 giugno 2025 alla Feltrinelli di Caserta:



giovedì 3 aprile 2025

In uscita il mio nuovo libro GLI ANGELI ASSURDI (Il seme bianco)



GIÀ IN PRE-ORDER SUI PRINCIPALI STORES E DAL 10 APRILE IN LIBRERIA

Scopri gli Angeli assurdi!
Sono immateriali o creature di carne? Sono eterei e misteriosi, ma qual è la loro assurdità? Provocano emozioni intense e contrastanti, possono ispirare gioia e dolore, speranza e disperazione, assumendo le sembianze che desiderano.
Un viaggio attraverso dimensioni nascoste in 336 pagine di racconti che esplorano l'amore, la perdizione e la redenzione.

mercoledì 12 marzo 2025

Presentazione di TUTTO IL TEATRO di Elio Pecora (Edizioni Il Simbolo), Libreria Feltrinelli di Caserta, 14 marzo 2025, ore 18


 
    Su YouTube il video dell'evento:



I PIEDI DEL MONDO. COME LE SCARPE NIKE HANNO RIVOLUZIONATO L’IMMAGINARIO GLOBALE di Tommaso Ariemma. Una recensione

Che l’estetica abbia carattere filosofico e speculativo a differenza delle poetiche che invece sono storiche (e mutevoli: romanticismo, naturalismo, verismo) e prescrittive è un’ormai classica distinzione posta da Luigi Pareyson nella sua teoria della performatività. L’importante è che l’artista operi, perciò sul piano estetico le poetiche sono tutte ugualmente legittime. Ma se le poetiche sono storiche e mutevoli, l’estetica si basa su un’altra storicità: quella dell’unità fondamentale del pensiero filosofico. Siamo convinti che questo discorso riguarda le belle lettere non meno delle belle arti, se solo si pensa che il neoclassicismo nacque da Winckelmann per estendersi alla letteratura europea, senza escludere le arti sviluppatesi da circa un paio di secoli a questa parte o negli ultimi decenni. Tutto il saggio intitolato I piedi del mondo che ha come sottotitolo Come le scarpe Nike hanno rivoluzionato l’immaginario globale (Luiss University Press, 2024) di Tommaso Ariemma parte dal seguente presupposto: il riferimento ellenico a Atena Nike (leggendo il nome grecamente) come fondamento cui alludono le sneakers di marca Nike (leggendolo all’americana) costituisce un momento se non di vittoria almeno di resistenza, di vitalità, di libertà non senza qualcosa di furtivo, in termini di sottrazione al destino dell’Occidente minacciato in primo luogo da sé, come la cronaca di questi mesi e giorni ci insinua con inquietante insistenza.

Ariemma ha dato molti contributi alla pop filosofia e di estetica si occupa anche come docente. Questo, si potrebbe azzardare estremizzando, è in fondo un libro sulla morte o, meglio, sul senso di perdita del passato cui paradossalmente le nuove tecnologie ci spingono quando sembrano immortalare le nostre memorie e le nostre esperienze di vita, in quanto nessuna epoca ha mai avuto a disposizione tanti dati come la nostra, nessuna si rivela così effimera. Per Ariemma, se il mondo greco era unitario, quello attuale è contraddistinto da una dinamicità che pur vuol assurgere a unità, perciò ne vengono molteplici spunti iniziando da Martin Heidegger che analizzava le scarpe dipinte da van Gogh dando così dignità di analisi filosofica all’oggetto destinato a diventare iperoggetto, a Marshall McLuhan secondo il quale ciò che indossiamo è il medium più antico nel rapporto col mondo, sicché – scrive Ariemma - «non c’è, a rigore, un oggetto più “sintetico” di una scarpa, capace di riunire in sé ogni aspetto fondamentale del reale, operando così la più sorprendente delle sintesi tra piedi e mondo» (p. 27). Ancora il compianto Gianni Vattimo è convocato per le sue analisi della postmodernità, Werner Jaeger per la sua monumentale e imprescindibile Paideia. Di grande suggestione è il resoconto che l’autore ci fa del viaggio di Heidegger in Grecia nel 1962, lo stesso anno in cui vi si recò il ventiquattrenne Phil Knight, futuro fondatore del marchio (p. 48 e sgg). Quest’ultimo rimase molto colpito nel vedere, al museo dell’Acropoli, la statua di Atena Nike intenta a sistemarsi un sandalo, Heidegger da parte sua rimane affascinato dall’assenza nel Partenone della dea fuggita. Tale assenza finisce per essere se non una presenza quantomeno una traccia, heideggerianamente una traccia della traccia lasciata dalla dea che, insieme agli altri dèi, è fuggita. In quella circostanza a Knight venne in mente il nome Nike da dare alla sua azienda.

Non dubitiamo che l’outfit sia espressione di scelte culturali proprio nel rapporto col mondo, la moda appartiene a tale vicenda come nella famosa operetta morale leopardiana dove essa dialoga con la morte, sempre nell’avvicendarsi contestuale di éros e thánatos. Ma le parafilie studiate da Krafft-Ebing e da Wilhelm Stekel, in testi ormai peraltro datati, però non c’entrano molto, nemmeno l’esilarante Piedi. Pensieri per un feticista di Laura De Luca. Ci è capitato in passato di occuparci de Le regole del mio stile di Lapo Elkann, che è un vero manuale di antropologia della moda, e cogliamo una singolare coincidenza dal momento che I piedi del mondo si conclude citando l’ottusa polemica della quale fu fatto oggetto tempo fa un articolo dello scrittore Alain Elkann, accusato di classismo laddove in treno stava giustamente cogliendo un preciso mutamento antropologico in un gruppo di ragazzotti. Si tratta di una rivoluzione, secondo ciò che è evocato dal sottotitolo del libro di Tommaso Ariemma, in atto da tempo, dal famigerato edonismo reaganiano degli anni Ottanta per proseguire con l’affermarsi sempre più radicale della digitalizzazione, dal VHS ormai diventato obsoleto al DVD che neppure gode ottima salute, al personal computer, allo smart, al tablet e quant’altro. Ma il nostro giudizio sulla rete è infine positivo, essa fornisce risorse e possibilità un tempo impensabili, sempre però attuandone un corretto utilizzo: troppe incongruenze nella comunicazione e troppi narcisismi autoreferenziali imperversano. Le Nike (ma perché no, per estensione, le Gems o le Reebock?) assurgono così a simbologia alternativa di un movimento pur sempre dentro il mondo.


                                    Sandro De Fazi

                                    Marzo 2025

                                     

lunedì 12 agosto 2024

LA DISPUTA SULL’ART POUR L’ART Mann e George /Due estetiche a confronto

 



Estasi per la bellezza

Difficilmente si potrebbe sostenere che tra Thomas Mann e l’esperienza estetica del circolo di Stefan George corresse buon sangue, benché Klaus Mann diventasse in futuro uno dei suoi simpatizzanti. Ma Klaus, a differenza di Thomas, viveva apertamente la propria omosessualità senza trincerarsi dietro la facciata della morale borghese presente nel libretto del padre intitolato Sul matrimonio del 1925, dove si schierava pubblicamente contro lo stile di vita libertino, lo stesso che caratterizzò le scelte dei figli Klaus ed Erika. L’autore de La morte a Venezia stabiliva un singolare binomio fatto di bellezza e morte; l’amore tra persone dello stesso sesso veniva equiparato all’art pour l’art poiché non è riproduttivo e dunque è fine a se stesso e non vitale. L’omosessualità nel piccolo saggio è associata alla morte, non esiste benedizione in essa «se non quella della bellezza che è benedizione di morte. Le mancano le benedizioni della natura e della vita» (trad. it. di Italo A. Chiusano, Feltrinelli, 1993, p. 38): argomenti fortemente obsoleti, risalenti a momenti storici molto lontani da noi, fortunatamente non presenti negli stessi termini nell’opera letteraria né tantomeno nei diari. Qui sta parlando Thomas Mann con la sua facies pubblica. Il cosiddetto amore libero è per lui «amore infecondo, senza speranza, irresponsabile e incoerente. Nulla nasce da esso, non è la base di nulla, non è che l’art pour l’art, forse un’assai libera e superba cosa dal punto di vista estetico e però immorale, senza alcun dubbio» (ibidem). L’argomentazione, sostenuta dalla sua inconfondibile prosa, ha un suo fascino ambiguo anche quando si richiama all’antichità, non tenendo però conto del fatto che la pseudo-omosessualità greca – “pseudo-” in quanto non vi era percezione etica nel mondo antico, pur tra rigorose regolamentazioni, di una differenza, o “diversità” che il cristianesimo nella sua più chiusa istituzionalizzazione pratica tenderà successivamente a demonizzare – se non è produttiva di figli, lo è di sapere filosofico. Qui la massima concessione è che l’omosessualità è l’arte e il matrimonio è la vita morale.

          Katja Pringsheim fu contenta dell’omaggio ma era perfettamente al corrente dell’attrazione provata dal marito per ragazzi e giovani uomini, dato che era lui stesso a parlargliene, il che la dice lunga sull’apertura mentale di lei; sappiamo della sua pazienza e comprensione nei momenti non infrequenti in cui Thomas si mostrava fisicamente refrattario ad avere rapporti intimi. Perciò, se ci si addentra nel perché e nel come del dissidio col George-Kreis, gruppo decisamente schierato a favore della mimesi dionisiaca, querelle nella quale si faceva a gara a darsi del borghese e antiborghese a vicenda, ora in difesa e ora contro la Germania con tutto quel che, di lì a poco, avrebbe drammaticamente significato, non se ne esce facilmente: «Mi ricordo bene con quali parole, a quanto mi hanno riferito, Stefan George ha respinto i miei Buddenbrook: “No,” disse, “questa roba non fa per me. È ancora musica e decadenza”. Ancora? Una tarda, anzi attardata borghesia faceva dunque di me un confessore della decadenza» scrive nelle Considerazioni di un impolitico (a cura di Marianello Marianelli e Marlis Ingenmey, Adelphi, 2005, p. 123), saggio di proporzioni mastodontiche dove prende di mira, attaccando implicitamente il fratello Heinrich, la pretesa dello Stato democratico di basarsi su premesse illuministiche. E risponde a George per le rime. Il Thomas Mann che parla con la sua facies pubblica in taluni casi afferma esattamente il contrario di quanto ci si aspetterebbe da uno che ha scritto i capolavori che conosciamo. Ma pure nell’opera ci sono nodi concettuali difficili da sciogliere. Di qui però una delle ragioni della sua attrattiva e della sua grandezza: la fedeltà al modello goethiano nel far coincidere gli opposti.

          Tutt’altra impostazione in Stefan George, più esplicito e diretto alla sua maniera. Se Mann accoglie nella sua opera la società borghese criticandola, George la esclude del tutto, rigetta interamente la vita sociale della sua contemporaneità, da lui percepita come perdizione. A Mann non sarebbe mai venuto in mente di condividere da vicino il proprio culto per l’arte con una ristretta cerchia di mistici adoratori della bellezza maschile, né tantomeno di esprimersi in poesia anziché nella forma-romanzo e nel romanzo-saggio, sempre a lui più congeniali, essendo la prosa narrativa, forse per la sua tendenza mimetica, tradizionalmente molto frequentata dalla borghesia colta. La visione aristocratica di George «non ammetteva fratellanze: in lui non c’è che il genio creatore e la massa bruta, senza stati intermedi, senza mediazione, senza comunità di sorta» (György Luckács, Breve storia della letteratura tedesca, trad. it. di Cesare Cases, Einaudi, 1976, pp. 149-150). Ciò è interessante in quanto George sceglie proprio la poesia, già al tempo genere letterario d’élite, come medium privilegiato per la sua tenace opposizione alla società di massa. E questo ha anche del paradossale, poiché appunto la massa non vuol arrivare direttamente alla poesia, mentre l’unica comunità che George ammette è quella del suo gruppo.

 

Primato del sentimento

Il George-Kreis era una comunità di amanti (poeti, scrittori, filosofi, intellettuali di varia tipologia) stabilita su una rigorosa selezione naturale, si direbbe una realizzazione aggiornata del Simposio platonico, e viene fatto di pensare più a una tenace operazione di resistenza e autocostruzione di sé che non a una cerchia fondata su intenti di propaganda culturale e politica. Quanti vi aderivano dovevano per statuto essere tutti uomini, tutti omosessuali e tutti belli; altro tratto peculiare era costituito dall’elemento erotico. È facile prevedere come tutto questo sfociasse in un vero e proprio misticismo, non impervio a implicazioni carnali. Col tempo George, da primus inter pares che era all’inizio, diventò il leader indiscusso del gruppo, trattato come sacerdote secondo un cerimoniale ben preciso. Sia chiaro che i sostenitori esterni, non necessariamente aderenti a tutte le istanze del Kreis (ne fece parte per qualche tempo pure Rilke), furono tanti e della più svariata estrazione, affratellati dalla medesima motivazione antiborghese, categoria che oggi non ci dice più molto ma all’epoca aveva ancora un significato. Marco Fraquelli ha ben analizzato le caratteristiche del gruppo, inconfondibile soprattutto quando emerse il giovanissimo poeta Maximilian Kronberger, lo studente di liceo del quale George si innamorò e Maximin (così veniva chiamato) diventò fatalmente il centro dell’attrazione generale, una sorta di musa ispiratrice, ma la venerazione era condivisa dagli adepti fino a un certo punto. Maximin, scrive Fraquelli, «appartiene esclusivamente a George, che gli dedica numerose poesie d’amore» (Omosessuali di destra, Rubbettino, 2007, p. 69). Maximin viene divinizzato già da vivo, il Kreis deve trattarlo religiosamente, e questo sarà tristemente ancora più facile dopo la prematura morte del ragazzo, appena diciottenne, avvenuta nel 1904.

Ma chi era esattamente Maximilian Kronberger, specialmente in rapporto all’opera e alla vicenda biografica di George? Era un ragazzo normale, sopravvalutato dal grande poeta tedesco ma ciò è vero soltanto se ci atteniamo a un esclusivo quanto ingiusto dato oggettivo di relativa importanza. Probabilmente il ragazzo presente nelle poesie è quello vero e l’invenzione è data dall’innamoramento del poeta: l’amante reinventa sempre il suo oggetto, lo crea cogliendone aspetti più veri del vero e rivelandolo a lui stesso. Sappiamo da Margherita Versari che la frequentazione tra i due fu sporadica, ma ciò è irrilevante dal punto di vista dell’analisi semiotica; lui era un adolescente come potevano essercene tanti quando si conobbero, per strada, nel 1901; fu George a scoprire il suo talento, anche se Maximin era «probabilmente inadeguato a tanto investimento emotivo e intellettuale del Maestro» (La poesia di Stefan George. Strategie del discorso amoroso, Carocci, 2004, p. 83) e allo stesso tempo tale circostanza nulla toglie all’autenticità del Maximin immortalato nei versi.

          Fu un amore grande e breve. Ma se dal punto di vista letterario è lecito trasfigurare la situazione amorosa, è pur vero che la presa di distanza dall’oggettività, l’idealizzazione esasperata di George verrà contestata da Max Horkheimer e Theodor Adorno nella loro Dialettica dell’illuminismo, proprio per il mito della «bestia bionda» (trad. it. di Renato Solmi, Einaudi, 2010, p. 250) derivante dalla paideía greca, ma assunto di lì a poco dal nazismo. Si tratta insomma di una proiezione gheorghiana dell’idea del bello su Platone e sull’educazione dell’uomo greco, nel senso che, non c’è dubbio, «la bellezza legata a un singolo individuo» cioè Maximin «viene poi proiettata sull’idea pura del bello» (Versari 2004, p.93). Siamo oltre lo stesso Winckelmann: il bello assoluto coincide non più con l’arte greca e romana ma con Maximilian Kronberger! Però Horkheimer e Adorno,  muovendo una critica radicale anche al concetto classico di kalokagathía (il bello, buono e valoroso), lo connotano in senso classista, laddove la kalokagathía non era legata all’utile, bensì al kalón, inteso proprio nel senso di opus, di intelligenza produttiva.

Il nome del poeta tedesco ricorre varie volte nei diari di Klaus Mann, redatti negli anni più che tragici dell’ascesa di Hitler. A ripercorrerli non si capisce molto dei suoi rapporti con le tantissime persone che frequenta, degli innumerevoli fatti, letture, flirts, amori, scritture che elenca, al netto di scrittori, poeti, nomi illustri intorno ai quali o è noto o è intuibile dal contesto il suo pensiero. Un turbinio di avvenimenti senza capo né coda, ma proprio questo è il fascino della sua operazione. Solo fatti e non interpretazioni, si direbbe, ma l’interpretazione sono in questo caso proprio i fatti che annota. Stefan George è da lui letteralmente idolatrato e sempre difeso mentre la propaganda di regime va impossessandosi degli aspetti più tenacemente aristocratici della sua opera. È di particolare rilievo constatare che Klaus parla di George come di un «dittatore spirituale», a proposito del «primato del sentimento: niente verità “oggettiva”», ma come distorsione e non come elementi appartenenti a George: li considera «menzogne della stampa nazista» (30 settembre 1932, in La peste bruna. Diari 1931-1935, trad. it. di Matilde de Pasquale, Editori Riuniti, 1998, p. 73). E Klaus difende il padre dall’accusa mossagli da Rudolf Thiel, autore di un saggio contro il Mago: secondo Thiel, Thomas avrebbe copiato da Nietzsche ma Klaus annota: «che ne saprebbe un Thiel di Nietzsche senza Th. Mann?»  (25 settembre 1932, p. 71). È improprio ritenere George un precursore del nazismo, una guida spirituale dall’anima hitleriana, benché non avulsa da forti pulsioni soggettivistiche. Il nuovo regno da lui vagheggiato e, nell’ambito del Kreis, organizzato in maniera gerarchica, non era il Terzo Reich. Emigrare e morire in Svizzera sarà il suo modo di opporsi.

                                                                     

                                                                          Sandro De Fazi

per Amedit – amici del mediterraneo, n. 41 /autunno 2019-‘20