Ho letto con trascinante entusiasmo Neve e sangue di Maurizio Gregorini (Edizioni del Cardo, 2007). Il primo episodio è dettato da un'audacia espressiva così radicale che, abbacinato dalla sua energia, quasi esitavo a proseguire, come a volermi soffermare sulle profonde e paradossali verità che si manifestavano. L'eros è raccontato in termini di fisicità allo stesso tempo materiale e spirituale o, meglio, come un 《dialogare privatamente col divino》. La vicenda sentimentale di Luca Greco, personaggio che ho trovato esilarante nel modo poetico in cui si allude a tratti appartenenti allo stesso autore, mi ha fatto venire in mente l'estetica di Kierkegaard specialmente nel passaggio dalla soggettività all'apertura all'Altro che diviene, però, a sua volta, una nuova chiusura, nel gioco dialettico delle possibilità. Ma in Neve e sangue non prevale il momento effimero: nella seconda parte del romanzo la fatalità - o qualcosa che pur, a uno sguardo ulteriore, va chiamato destino - interviene a caratterizzare l'andamento della storia, dopo tanta agognata agnizione, e il cui finale in questa sede non va svelato.
(8 novembre 2021)
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