Non siamo più abituati a frequentare i morti. Ci sottraiamo alla loro voce per paura soprattutto di noi stessi, della nostra follia che pretende quel dialogo possibile, né sappiamo ascoltarli quando ci interpellano in sogno, in veglia, attraverso un colore, un suono, in cento modi. La grande festa di Dacia Maraini costringe invece il lettore a misurarsi proprio con questo argomento impopolare e sgradevole, eppure fondamentale per la nostra consapevolezza intrecciata con la vita. Dopo la morte è il nulla, come prima della nascita, leopardianamente, oppure quale pneuma, quale anima vivrà immortale dopo la separazione dai corpi? Risponde solo il mistero, quello dell’improvvisa morte di Moravia, quello «terribile e osceno» dell’assassinio di Pasolini. L’insofferenza di Pascal per l’hic et nunc è smussata e dilatata nella prospettiva ulteriore offerta dall’immaginazione. L’autrice va fino in fondo al dolore per ricordarsi di ricordare (Dimenticato di dimenticare è il titolo di un suo libro di versi) in questa meditazione sulla morte magistrale per la presenza di mito e verità (molte pagine sono dedicate alla storia d’amore con Giuseppe Moretti, alle sue ultime battaglie contro la malattia) ma che allo stesso tempo è parziale in quanto non ci sono ancora state consegnate le sue memorie complete. Eppure Simone de Beauvoir a suo tempo le scrisse! E saranno certo moltissime quelle della Maraini, riguardo alla piccola Bloomsbury romana che vent’anni fa era il cuore del mondo letterario italiano. Che dire allora della grande festa dell’aldilà, ammesso che ce ne sarà una? «Forse – conclude la scrittrice – sarà la voce della poesia a tenere in movimento le menti. E le parole penderanno dai rami come frutti. E si faranno canto mentre la lira di Orfeo riprenderà a suonare scendendo dal cielo stellato.»
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