sabato 17 dicembre 2011

Lord Alfred Douglas, Oscar Wilde and Myself






La produzione letteraria di Oscar Wilde, quantitativamente esigua, è inferiore alla personalità dell’autore.
Nella famigerata querelle Wilde-Douglas è stata troppo a lungo cosa ovvia prendere le parti dello scrittore irlandese. C’è il De Profundis del primo e il pamphlet Io e Oscar Wilde del secondo, a cura di Paolo Orlandelli (Roma, Edizioni Libreria Croce 2008), che in Italia viene dopo la traduzione dal francese di Valentina Gentili e Peppi Nocera Tenaxis intitolata Con Oscar Wilde. La risposta al De Profundis dell’”amore poibito” di Oscar Wilde (Milano, Gammalibri 1982). La recente edizione romana ha il merito di essere più completa rispetto a quella milanese, dove mancano ben sei capitoli, esattamente: il 13 (Le mie lettere a Labouchere), il 20 (Lo “studio critico” di Ransome), il 23 (Letteratura e vizio), il 24 (Crosland e “la prima pietra”) e il 26 (Wilde in Russia, Francia e Germania), cosicché la traduzione del 2008 consta di ventiquattro capitoli contro i ventidue di Gammalibri, il cui testo è per giunta qua e là monco. Croce riporta in appendice anche tre articoli di Douglas: In ricordo e in difesa di Oscar Wilde, datato Sorrento, agosto 1895; Una critica al “De Profundis” da The Motorist and Traveller, 1 marzo 1905; Oscar Wilde, i suoi ultimi anni a Parigi, apparso sulla St. James’s Gazette il 2 e il 3 marzo 1905; le note al testo; una biografia di Douglas e l’elenco delle sue opere.
Per attenerci a Douglas, c’è la possibilità di interpretare il suo libro in una nuova prospettiva analogamente a una rilettura del De Profundis, per quanto il valore letterario dei due scritti non sia equivalente, a sicuro vantaggio di Wilde.
Il quarantaquattrenne Bosie pubblica questo Oscar Wilde and Myself nel 1914, a parecchi anni di distanza dagli avvenimenti che analizza. Ciò che gli è imputabile sarebbe aver misconosciuto la grandezza di Wilde, se non gli fosse stato a cuore in primo luogo difendersi dagli attacchi ricevuti dall’amico e dai di lui amici rimasti, Robert Sherard, Robert Ross, Arthur Ransome, dopo il carcere di Reading.
Proviamo allora a sfatare il luogo comune e sentiamo che cosa abbia realmente da dirci Lord Alfred Bruce Douglas a propria discolpa.

1. L’abbozzo di un ritratto prende forma dal resoconto dei primi anni della loro frequentazione. Wilde è un ex allievo stimatissimo a Oxford e un conversatore brillante, ma è altresì qualcuno che nel mondo è disattento alla manifestazione del proprio pensiero, al fine di sostituirla con l’eterna recita del ruolo dell’esteta. A ogni costo vuole divertire. Sbalordire. Scandalizzare.
Lord Alfred, all’opposto, fin dall’inizio tiene a precisare di essere stato poeta suo malgrado, ed è una bizzarra anticipazione del destino che i suoi primi versi, sottoposti al giudizio di Wilde, si intitolino proprio De Profundis. Nel 1892 il posto di John Gray, che era venuto dopo Robert Ross, è già stato preso da lui nel cuore di Wilde. Il primo anno della loro amicizia staranno ininterrottamente insieme.
Bosie è un “giovane Domiziano”, come lo soprannomina Wilde, un misto di fascino morboso e di perfidia. Secondo Max Beerboom, è uno che soltanto vuole splendere della luce di Wilde. È un pazzo, come tutta la sua famiglia. È indubbio però che è sincero nel cercare la poesia. Negli anni oxoniani vive la sua dissipatezza di “ragazzaccio” aristocratico dividendosi tra le attività sportive senza curare una preparazione diligente degli esami. Afferma addirittura che la direzione della rivista Pentagram sarà «la sola avventura letteraria o giornalistica, per inciso, dalla quale abbia mai ricavato un compenso» (p. 23, trad. Orlandelli). Non essersi laureato è un suo motivo di vanto, perché vuole scrivere, sottrarsi al mediocre ruolo di studente: «Se lasciare l’università senza un diploma è un crimine, io appartengo a un’eccellente classe di criminali, perché Swinburne ha lasciato Oxford senza diploma, così come Lord Rosebery e, per parlare di geni, anche il poeta Shelley» (p. 28, trad. Orlandelli).
Non si può non essere dalla sua parte quando rileva le affettazioni e l’attrazione di Wilde per gli altolocati del gran mondo, le sue pose manieristiche, pure ingenue e ugualmente detestabili in un dandy borghese che calcola l’importanza dei rapporti sociali - si direbbe, dei rapporti umani - in base al censo. Il “mito Wilde” fu e tuttora è interessante non tanto per le qualità dello scrittore quanto per l’eccentricità del personaggio, che in quella confusione tra arte e vita fu un grande decadente.

2. Bosie ha ragione specialmente nell’affermare che causa della rovina di Wilde fu Wilde stesso.
Querelare John Sholto Douglas, nono marchese di Queensberry, per diffamazione fu un errore grossolano laddove Oscar avrebbe dovuto usare prudenza e non esporsi. Fece tutto il contrario, e in questo dimostrò nobiltà, superiorità d’animo, vero autolesionismo. Il marchese di Queensberry aveva un contegno rozzo e animalesco in tutte le manifestazioni della vita pubblica e privata, anche se era capace di gestire, quando lo decideva, i suoi istinti al punto di aver stabilito in gioventù le famose regole del pugilato, che vennero adottate in Inghilterra, in America e presto in tutto il mondo.
 Certo, la sua controffensiva è fragile in due punti: nel non ammettere la storia d’amore, di dominio pubblico, ricorrendo all’ipocrisia del linguaggio moralistico e, di conseguenza (e in primo luogo), nel non chiamare l’omosessualità col suo nome (“l’amore che non osa dire il suo nome” è la celebre espressione di un’altra sua poesia,The Two Lovers).
Ma la stessa reticenza può essere attribuita a Wilde. Fin dalle prime righe del De Profundis  wildiano si parla di un’«amicizia nata male e tanto riprovevole» (trad. it. di Oreste Del Buono, Mondadori 1985, p. 3). Sembra, a sentirli entrambi, che né l’uno né l’altro fossero omosessuali, o che della propria situazione avessero scarsa consapevolezza, né che la loro fosse una relazione ma tutt’al più un’amicizia affettuosa e conflittuale dove le istanze erotiche erano sublimate. Di fatto, nei loro rapporti il sesso ebbe poco spazio, e soltanto nella fase iniziale. Successivamente, andò placandosi nell’amore sublimato, o amicizia sublime.
Nemmeno è credibile che, in parallelo, ciascuno dei due indipendentemente dall’altro non frequentasse gli ambienti omosessuali, soprattutto sottoforma di pratiche mercenarie. Bosie andava in delirio per i prostituti, fu lui a presentarli a Wilde e tutt’e due si resero complici gareggiando l’uno con l’altro in materia di ragazzi (poi nemmeno tanto numerosi se si considera che i particolari resi noti al terribile epilogo della lunga vicenda ricoprivano un arco di parecchi anni).
La psicologia di Wilde agiva sotto l’influsso di un’irrefrenabile smania di sfida alla società inglese, tollerante solo se le apparenze fossero salvaguardate.  I prostituti e la storia d’amore con Bosie vennero così a costituire un pericoloso binomio, nel momento in cui fu proprio l’ostentazione della sua vita di coppia dapprima con Ross, poi con Gray e infine con Douglas, a diventargli fatale mentre continuava le sue “pratiche innominabili” (per citare il titolo di un vecchio libretto di Riccardo Reim, Laura Di Nola e Antonio Veneziani, con un’introduzione di Alberto Moravia, Milano, Mazzotta 1979).
Se si vuol far pesare a Douglas la sua dissimulazione nelle pagine di Io e Oscar Wilde, lo stesso atteggiamento bisognerà dunque assumere nei confronti di Wilde. Constatata l’assurdità di un’ipotesi come questa, il motivo del loro silenzio andrà ricercato altrove.


3 commenti:

Anonimo ha detto...

Gentile professor De Fazi,
trovo come sempre molto interessanti i suoi scritti, e questa rivalutazione di Alfred Douglas offre una lettura inedita di una figura sempre sottovalutata dalla critica, dove è diventato un luogo comune anche essere Contre-Sainte Beuve mentre noi siamo sempre stati a favore ma abbiamo dovuto fingerci Contre per non dispiacere a Proust. Spero lei voglia presto dedicarsi a una rivalutazione anche di monsieur Agostinelli, non trascurando il grande Monaldo Leopardi e anche Max Brod, senza tralasciare il padre di Kafka, che valeva forse più del figlio. Con stima e affetto, suo devotissimo
Massimiliano Parente

Sandro De Fazi ha detto...

Che spiritoso è lei, gentile Anonymous! Che cos'ha contre Max Brod? Se non fosse stato per lui non avremmo i libri di Kafka. Onori a Max Brod, dunque!

Sandro De Fazi ha detto...

Stavo pensando anche di dare una botta al cerchio e una a Sainte-Beuve, a sto punto....